Il nostro viaggio real-immaginario con Behemoth nella metropolitana di Mosca

Ora di punta in metropolitana

Scendiamo nel sottosuolo della capitale della Federazione Russa. Decine di metri sotto la superficie per scoprire un mondo parallelo con delle regole specifiche. Una caratteristica unica e singolare di Mosca è la sua rete metropolitana: negli anni duemila ha visto un incremento sostanziale della sua dimensione e nuove stazioni e decine di chilometri di binari vengono costruiti ogni anno. I quartieri periferici sono rapidamente collegati al centro della città e migliaia di persone ogni anno si trasferiscono in questa megalopoli che continua a crescere e inglobare i piccoli paesi circostanti.

Un altro elemento classico della storia moscovita è il romanzo Il Maestro e Margherita, scritto da Bulgakov e amato da tantissimi cittadini. Nascono nuovi musei e locali a tema, le guide turistiche organizzano dei dei tour dedicati allo scrittore, vi abbiamo già parlato di Sveta (trovi qui l’articolo) che ha iniziato la propria carriera proprio con Bulgakov.

Abbiamo quindi deciso di unire i due elementi della città e abbiamo deciso di fare un viaggio reale e al contempo immaginario, accompagnati niente meno che da Behemot, il personaggio de ‘Il Maestro e Margherita’, il demone con sembianze da gatto. Con lui ci muoveremo tra treni, gallerie e migliaia di gambe costantemente di corsa.

Sarà un viaggio un po’ particolare, ma non vogliamo svelarvi troppo, è un pasto che va degustato lentamente boccone dopo boccone…

Sono le otto di sera, la vita di Behemot inizia solo dopo il tramonto, a lui non piace la luce, la sua pelliccia nera attira troppo calore, ma soprattutto di notte riesce a muoversi liberamente protetto dall’oscurità. Finisce la sua colazione che, come la tradizione russa vuole, è a base di selyodka (aringa affumicata) con barbabietole tagliate minuziosamente della stessa dimensione, il tutto guarnito con dei piccoli cetriolini salati appoggiati su un letto di burro; il pane lo gradisce nero, come il suo mondo. Aspettiamo con pazienza la fine del pasto, non gradisce interruzioni, e ci avviamo verso la stazione di Tverskaya. Behemot abita praticamente in centro a Mosca, vicino ai grandi viali, ma protetto dal frastuono delle auto in un appartamento seminterrato all’interno di un tranquillo cortile. Sono pochi i veicoli che si muovono in questa zona, solo gli inquilini del palazzo arrivano fin qui, una ventina di persone che non conoscono la sua esistenza. Esternamente ci sono poche aree verdi, qualche sporadico albero circondato da una piccola recinzione interrompe la superficie asfaltata crepata e intervallata da poche piastrelle rettancolari in cotto che ricordano un vecchio spazio nobiliare.

Proseguiamo, Behemot è impaziente, non gli piace stare troppo in spazi aperti e con un cenno degli occhi ci fa capire che dobbiamo velocizzare il passo. In pochi minuti arriviamo alla stazione metropolitana di Tverskaya, entriamo dalle porte poste sulla piazza e dopo una lunghissima scala mobile siamo sulla piattaforma dei binari. Abbiamo fatto fatica a seguire il nostro amico, abbiamo dovuto comprare il biglietto e appoggiarlo sui lettori magnetici per poter aprire i varchi, ma lui no, lui passa sotto, nessuno ci fa caso.

La metropolitana è un luogo dove tutti vanno ma nessuno si ferma, solo i turisti alzano lo sguardo per osservare i marmi e le opere d’arte installate sin dal 1935, anno della sua fondazione. Pochi alzano gli occhi dallo schermo di smartfone o ebook, e forse solo due o tre persone si accorgono di un gatto in metropolitana. Troviamo un sostegno da afferrare per non cadere durante il tragitto, la nostra guida si siede sotto ai sedili tra le gambe dei viaggiatori, trova sempre il modo di avere il suo angolo d’ombra privilegiato. Gli piace osservare le persone, dalle scarpe riesce a capire la vita di chiunque. Ci racconta che non guarda mai in faccia la gente, molti hanno maschere dietro cui nascondono qualunque cosa, ma il modo di essere non può essere nascosto e preferisce percepire i movimenti e i respiri della gente senza che nemmeno si accorgano di lui. Ci sta portando in una delle sue stazioni preferite, monumentale, coperta di marmi rossi e costellata di statue bronzee che celebrano il popolo russo di qualunque estrazione sociale: agricoltori, soldati, operai, tutti sono presenti. Il Il cane porta fortuna nella stazione della Piazza della Rivoluzionenostro tragitto è lungo solo una fermata e scendiamo a Piazza della Rivoluzione, dedicata alla rivoluzione del 1917, anno di fondazione dell’Unione Sovietica. Una statua in particolare è famosa tra i moscoviti, una guardia con un cane, il muso di quest’ultimo è lucido e dorato a causa dei continui sfregamenti delle mani, la tradizione vuole che porti fortuna agli studenti in vista degli esami, naturalmente Behemot non capisce, è impossibile che un cane abbia l’acume per passare il benché minimo esame scolastico, i gatti sono, per lui, di gran lunga molto più intelligenti e perspicaci dei cani e, in quanto tali, lasciano volentieri lo scettro di porta fortuna a questa statua canina insignificante, lasciamo pure credere che si possa passare un esame solo toccando il muso ad un pezzo di bronzo. Prendiamo atto del suo pensiero e non lo contraddiciamo. Sì, l’avete capito, la nostra guida vive di sarcasmo e spesso è abbastanza acido, ma è onesto, e questo fa di lui un amico affidabile, sincero e decisamente diretto nei modi e nelle parole.

Proseguiamo in una delle stazioni più turistiche di Mosca evitando gruppi di cinesi intenti a fotografare ogni statua e ogni dettaglio, meglio soprassedere alle ingiurie che Behemot è riuscito a produrre. Improvvisamente ci fermiamo, siamo indicativamente all’altezza del varco nel pavimento dove la scala mobile ci porta verso la fermata del teatro Bolshoi, con i suoi occhi gialli ci fa cenno di seguirlo. Non sappiamo cosa ci capiterà, entriamo letteralmente nel pavimento, il marmo rosso sembra liquido e ci inghiotte. Scendiamo, scivoliamo, sempre al buio, sentiamo odore di olio motore, il calore aumenta considerevolmente e iniziamo a sudare. Passano pochi secondi e siamo in un ambiente nuovo, luminoso, non capiamo. Non abbiamo idea di quanto siamo distanti e in che posto ci troviamo. L’arredamento dell’ambiente è elegante, sembra di essere in un salone degli Zar di fine ottocento quando S.Pietroburgo era all’apice del suo splendore. Behemot ci fa cenno di seguirlo, tutto è abbastanza piccolo e facciamo fatica a muoverci, noi siamo più grandi di un gatto e l’arredamento non sembra fatto per le persone. Il tavolo a cui ci sediamo è finemente intagliato, sembra legno ma ci accorgiamo che sono marmi accuratamente posizionati per disegnare la mappa di Mosca, mappa attuale e, a quanto pare, costantemente aggiornata. Il nostro stupore e la nostra agitazioni sono facilmente percepibili, Behemot cerca di metterci a nostro agio, l’odore della stanza è di legno fresco e sembra quasi di avvertire una brezza di campagna, la luce è calda e avvolgente, un ambiente che isola dal mondo esterno e impedisce di avere la percezione del tempo e dello spazio. Behemot ci racconta che lui ama Mosca, un po’ meno i moscoviti, ma spesso ha la necessità di riposarsi e di avere un luogo tutto per sé per poter ricaricare le batterie dal fracasso quotidiano. Ci chiede di alzare lo sguardo e notiamo un affresco sul soffitto che non aveva attirato la nostra attenzione. Si tratta della visione della piazza Rossa, ma dal basso, non avevo mai visto un’opera simile, molto affascinante. Ci dice che siamo esattamente al centro della piazza e questa è la perfetta rappresentazione del mondo esteriore se non ci fossero i cinquanta metri di roccia e fango che ci separano dalla superficie. In questo La stazione di Vystavochnaya luogo Behemot ha i suoi libri, ha il suo tè preferito –  il miglior Tè Ivan di tutta la russia, fatto personalmente solo per lui – e non poteva mancare la vodka, un’autentica delizia. Il tempo passa, la conversazione è piacevole ma, come nella consuetudine di Behemot, finisce all’improvviso, semplicemente quando lui decide che è ora di chiudere, non ci sono tempi morti, ha la capacità di attirare l’attenzione e focalizzare l’interlocutore esclusivamente su di sé. Così come non sappiamo esattamente come siamo arrivati, non abbiamo alcuna idea di come ci troviamo ora alla stazione di Vystavochnaya, la sua preferita tra le nuove, dall’altra parte della città, moderna con uno stile che ci porta dal 1800 alle atmosfere dei romanzi di Asimov. Naturalmente non riceviamo una spiegazione esaustiva, ma un generico: ho il biglietto prioritario.

Behemot si muove agilmente tra le persone, è quasi l’una di notte e la metropolitana chiuderà presto. Dobbiamo tornare a casa prima che sia troppo tardi. Abbiamo provato a chiedergli come mai ci muoviamo in modo inspiegabile tra le stazioni ma poi dobbiamo prendere un normalissimo treno per tornare a casa: nessuna risposta. Il treno che arriva è di quelli tradizionali, colorato di blu con il tetto rosso, restaurato più volte, svolge ancora egregiamente il suo lavoro nelle gallerie sotto la città. Cambiamo sulla linea grigia e dopo solo una stazione usciamo dalla stazione Chekhovskaya, in corrispondenza della linea verde dalla quale eravamo partiti. Riusciamo a prendere l’ultimo treno della giornata e usciamo all’aria aperta. Nonostante le cinque ore di tour non siamo per niente stanchi, l’energia di Behemot è contagiosa e sarà complicato addormentarsi stasera. Dobbiamo costantemente tener d’occhio la sua coda nera che si destreggia tra le gambe delle persone, riusciamo a non perderlo di vista. Saliamo dalla scala mobile e usciamo spingendo le pesanti porte di vetro che si aprono e chiudono ad ogni passaggio di treno, l’aria spostata dai vagoni permette la ventilazione dell’intero sistema. Ci giriamo quindi per salutare il nostro amico e augurargli buona notte, ma…l’abbiamo perso. Ci guardiamo intorno ma sappiamo già la storia, ci chiamerà lui la prossima volta.

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