Le Storie Della Porta Accanto (11). Chi la fa, l’aspetti! (in tutti i sensi)

Chi la fa l’aspetti è un proverbio italiano utilizzato frequentemente nel parlare comune; il significato è piuttosto chiaro: chi fa una cattiva azione, chi commette un torto deve essere pronto a ricevere una punizione equivalente; in altri termini, chi danneggia qualcuno deve aspettarsi di subire da questi un danno dello stesso tipo.

Prosegue la quarantena.

Lo confesso, mi manca lavorare in ufficio, incontrare le persone, parlare con la gente o anche solo ascoltare quello che si raccontano mentre sono in attesa fuori da uno dei nostri uffici.

Soprattutto mi mancano i vecchietti del mercoledì mattina, quelli che arrivano prestissimo nell’ambulatorio della Asl che si trova al mio stesso piano, perché devono fare le analisi.

Se chiudo gli occhi mi sembra di vederli, seduti in quella piccola stanza, gli uni attaccati agli altri; forse, quando tutto sarà finito, non potrò più vederli così. Dovranno arrivare scaglionati, su appuntamento e con un pizzico di amarezza mi rendo conto che finirà anche questo loro modo di stare in compagnia.

Non devono andare al lavoro, non hanno bambini da portare a scuola, eppure appena dopo un quarto alle sette sono già fuori dall’ambulatorio. I prelievi iniziano alle sette e trenta, lo sanno perfettamente ma è più forte di loro, devono essere già lì quando Angela arriva.

Angela è l’infermiera, ormai li conosce tutti, uno per uno, soprattutto il signor Michele e il signor Vincenzo che tutte le settimane devono farsi il prelievo per verificare il tempo di protrombina per trovare la dose giusta di Cumadin.

Avranno circa un’ottantina di anni, arrivano con le scarpe da tennis perché dopo le analisi e la colazione andranno all’area verde a farsi una camminata, rigorosamente cappello in testa e larghi sorrisi per tutte le signore e signorine che sono in attesa fuori dall’ambulatorio.

La fotocopiatrice e la macchinetta del caffè sono state spostate in quel piccolo spazio e dunque spesso mi ritrovo mio malgrado ad ascoltare le loro chiacchiere, sono divertenti e riescono sempre a strapparmi un sorriso.

Avete tempo? Oggi ho voglia di scrivere quello che ho ascoltato l’ultima volta che li ho incontrati. Oddio mi sembra mille anni fa e invece è solo un mese o poco più.

«Devo proprio raccontartene una bella – a parlare è Michele rivolgendosi al suo amico Vincenzo che, seduto vicino a lui, sta facendo lo spiritoso con la signora Erminia. Lei sorride maliziosa, con quel filo di rossetto rosso che si mette tutte le mattine prima di uscire.

«Vincè mi ascolti?»

«Sì, sì – gli risponde l’amico – non serve che urli, non sono mica sordo»

«Hai presente quella signora che incontriamo al parco tutte le mattine, quella con il cappello bianco e quel cagnolino al guinzaglio?»

«Quella con il cane che sembra un topo? – gli risponde Vincenzo

«Sì proprio lei. Ora ti racconto cosa è successo. Me ne stavo bello tranquillo sul mio terrazzo a prendere un po’ di sole. Mia moglie Luciana non vuole che sto troppo al sole perché poi mi devo dare la crema alle labbra sennò mi viene quella specie di herpes».

«Va bene ma non divagare tutte le volte – lo ammonisce l’amico – da un discorso passi all’altro e poi perdi il filo».

«Scusa hai ragione, ti stavo dicendo: ero sul mio terrazzo, lo sai vero che io abito al piano di sopra e sotto ci sta mia figlia?»

«Sì lo so, ma se non ti sbrighi arriverà il mio turno di entrare a fare il prelievo e allora non sarai riuscito a finire il tuo racconto»

«Allora sono seduto e vedo passare nella strada la tipa con il cappello bianco e il cane al guinzaglio, lei non mi vede. Sai cosa fa? Lo sai?»

«Se non me lo racconti come faccio a saperlo? Vincenzo inizia a spazientirsi e anch’io, malgrado debba tornare in ufficio, mi sto dilungando perché voglio sapere come va avanti questa storia.

«Questa tipa, per non dire altro, fa fare la cacca al suo cane proprio davanti al mio cancello. E non la raccoglie, anzi fa finta di niente e riprende la passeggiata. Non sono proprio riuscito a stare zitto. Mi sono alzato dalla sedia e l’ho chiamata. Signora! Signora mi scusi! Lei ha alzato testa e mi ha risposto chiedendomi che cosa volessi.»

«E tu che le hai chiesto? – ormai eravamo tutti curiosi.

«Le ho chiesto dove abitava. Si è anche stizzita, mi ha ribattuto chiedendomi perché mai volessi sapere il suo indirizzo.»

«Che le hai detto?»

«Le ho detto che volevo sapere il suo indirizzo perché l’indomani sarei andato a fare la cacca davanti al suo cancello. Ha raccolto la pupù del suo cane ed è scappata via. Sai che non l’ho più vista passeggiare dalle mie parti?»

Tutta la sala è esplosa in una sonora risata, anche Angela si è affacciata dalla porta: «Cosa avete stamattina ragazzi che siete così allegri?»

«Arrivo, arrivo – le ha detto Michele – devo proprio raccontargliene una bella».

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