Le Storie della Porta Accanto (19). Una questione di caraffe… e dove trovarle!

caraffa

Un antico proverbio popolare recita: Chi male capisce, peggio risponde.

Nulla di più vero, oggi voglio raccontarvi una storia assurda, una di quelle che non ti sembra vera per la sua assoluta vena di pazzia. Una storia che è la dimostrazione di come le parole assumano significati diversi a seconda dell’interpretazione, del luogo e della modalità in cui vengono pronunciate.

Buona lettura con la mia nuova #storiadellaportaaccanto

caraffa

Un giorno qualsiasi, in una settimana qualsiasi, al lavoro: quattro chiacchiere con i colleghi, le telefonate, il pubblico agli sportelli, il telefono e le scadenze. Ecco le scadenze, appunto. Mi sono segnata in agenda che dobbiamo partecipare a un’indagine promossa dall’Istat, siamo stati sorteggiati come Comune campione e non possiamo rifiutarci.

Avrebbe dovuto arrivarmi del materiale direttamente da Roma, una scatola contenente moduli e schede di rilevazione, ho avvisato i colleghi che gestiscono il protocollo di prestare attenzione: «Attendo una scatola importante, appena arriva avvisatemi, mi raccomando.»

La scatola non è arrivata, Istat mi ha chiuso il portale per accedere all’indagine e probabilmente ci verrà comminata anche una multa. Cosa fare?

Chiamo l’Istat.

Prima cerco di mettermi in contatto con la sede della mia provincia, ho qualche amico che lavora lì, forse potrà darmi qualche indicazione su come muovervi. Chi mi risponde è molto cortese ma purtroppo non può essermi di aiuto, devo chiamare direttamente la sede centrale. Mi faccio dare il numero.

Provo a chiamare, non è facile parlare con gli uffici di Roma, a volte sembra che ci sia un diverso fuso orario tra noi e loro, comunque dopo innumerevoli tentativi, mi risponde una tipa gentile.

Mi presento: «Buongiorno, sono la responsabile Istat del Comune tal dei tali, avrei dovuto accedere al portare per registrare i dati relativi all’indagine tal altra ma purtroppo non mi è arrivato il materiale, può verificare cosa è successo?»

La signora dall’altro capo dl telefono si stupisce e un poco preoccupata mi invita a rimanere in linea: «Facciamo subito una verifica, vediamo cosa possa essere accaduto. Non ci sono stati comunicati problemi nella consegna del materiale, che ci sia stato uno sbaglio?»

Attendo mentre una musichetta di sottofondo mi fa compagnia.

Dopo qualche minuto la signora torna al telefono: «Allora, allora vediamo dove siete – mentre mi parla sento che sottovoce sta scorrendo la lista alfabetica dei comuni – eccovi qui. Mi scusi a noi risulta che il pacco sia stato correttamente recapitato.»

«Recapitato? E a che indirizzo?» domando stupita.

La tipa dall’altra parte mi comunica l’indirizzo di consegna: caspita, l’indirizzo è giusto, siamo proprio noi. E allora che fine ha fatto il pacco?

«Sicura che sia stato ritirato?» chiedo.

«Certo, se vuole le dico anche il nome della persona che ha firmato il ritiro».

«Grazie, mi farebbe veramente un grande piacere» e intanto nella mia mente cerco di immaginare quale dei colleghi abbia ritirato la scatola senza avvisarmi.

«La firma è della signora Maria Rossi (ovviamente come sapete i nomi sono assolutamente inventati, la collega che ha firmato è reale ed è ancora in vita nonostante io in quel momento avessi una voglia terribile di ucciderla).

«Buongiorno e grazie». Butto giù il telefono e respiro. Uno, due e tre, mi alzo e vado a cercare la collega, è proprio quella alla quale avevo spiegato di attendere un pacco da Roma. La trovo tranquilla nel suo ufficio.

«Scusa – le chiedo , il tono della mia voce è inconfutabilmente alto e poco conciliante – non ti avevo detto di avvisarmi quando arrivava il pacco da Roma contenente il materiale dell’Istat?«

«Certo – risponde – mi ricordo!»

«E perché non mi hai avvisato? Lo sai che sono scaduti i termini, l’accesso al portale si è chiuso e ora rischiamo una multa?»

«Non capisco perché ti scaldi, non ti ho avvisata perché il pacco in questione non è arrivato.»

«Ho chiamato l’Istat – incalzo – mi hanno confermato che il pacco è arrivato e che tu hai messo la firma per ricevuta»

«Si sbagliano assolutamente, l’unico pacco arrivato conteneva una caraffa destinata ad Emilia e l’ho messo nel suo ufficio»

«Una caraffa?»

«Sì – insiste – una caraffa.»

Non posso assolutamente credere che una collega si sia fatta arrivare in ufficio una caraffa e quindi a costo di sembrare malfidata le chiedo di farmi vedere dove ha messo il pacco. Mi accompagna nell’ufficio della collega, il pacco avrebbe dovuto essere sul tavolo, non c’è più.

Chiediamo agli altri colleghi della stanza se lo hanno visto.

«Il pacco della caraffa? – mi chiedono.»

«Sì quello.»

«Lo abbiamo messo nello scaffale, era ingombrante sulla scrivania».

Eccolo lo vedo, lo prendo e mentre lo appoggio sul tavolo sento il sangue salirmi al cervello.

Una scatola grande, troppo grande per una caraffa, destinataria la collega Emilia (che è il Capo dell’Ufficio e Responsabile generale dell’Istat) e di fianco una bella scritta in neretto LA CARAFFA, peccato che LA CARAFFA altro non sia che il mittente: la Tipografia Caraffa di Roma.

Apro la scatola e tutto il materiale che attendevo da tempo è lì in bella vista.

Tralascio, cari lettori, il mio momento di assoluta empatia e cortesia nei confronti della collega (che oggi è diventata la mia più preziosa collaboratrice), mi sono precipitata a richiamare Roma per pregarli di riaprirmi il portale e mettermi in condizione di poter partecipare all’indagine. Fortunatamente dall’altra parte ho trovato persone disponibili e comprensive alle quali non ho spiegato dettagliatamente quello che era accaduto. Alla loro domanda. «Ma cosa è accaduto?» mi sono limitata a rispondere che ero circondata da persone con il cervello spento».

Non mi hanno fatto altre domande.

P.s. dimenticavo, non mi hanno fatto alcuna multa.

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