Cari amici è arrivato il momento di salutarci, con questo ultimo racconto si chiude il ciclo delle #storiedellaportaaccanto: una ventina di racconti assolutamente veri, piccoli aneddoti di vita quotidiana che mi sono accaduti sul luogo di lavoro. Personaggi strani, storie assurde, figure che quasi certamente ciascuno di noi ha incontrato durante la sua vita e magari le ha dimenticate.
Io le porto tutte scolpite nella mia mente e se qualcuno si è riconosciuto e magari si è un poco offeso, me ne scuso ma ogni mio racconto è soprattutto pervaso dall’affetto che nutro per ciascuno dei miei bizzarri protagonisti.
Non è detto che la chiusura sia definitiva, grazie alla nuova disciplina dei pensionamenti dovrò rimanere al lavoro almeno per altri setti anni e sicuramente incontrerò moltissimi altri personaggi e, se ne varrà la pena, scriverò le loro storie.
Intanto per non perdere l’abitudine vi racconto la storia del Cavalier Piccione, un uomo molto anziano e completamente sordo che quasi quotidianamente passava dal mio ufficio per esternare le sue rimostranze e segnalazioni: il buco, la lampadina bruciata, l’erba alta, la segnaletica arrugginita. Ogni segnalazione veniva accuratamente presentata su un foglio, scritta a penna, ogni riga rigorosamente sottolineata, il più delle volte non ascoltava neppure quello che cercavo di spiegargli, spesso alzava la voce. Mai nei miei confronti, sempre verso il politico di turno. Tornava dopo qualche giorno per evidenziare che nessuno aveva provveduto a risolvere la sua segnalazione, ogni volta arrivava con il calcolo dei giorni di ritardo completamente aggiornato.
Era appassionato di acrostici, che realizzava quotidianamente per esprimere in questo modo le sue proteste o i suoi reclami, ogni acrostico era accuratamente scritto con colori diversi, sempre rigorosamente sottolineato e a volte incorniciato.
Mi ha sempre considerato una delle poche persone che facevano il loro lavoro con serietà e quindi non mancava mai di arrivare con regali e piccoli pensieri. Cercavo sempre di dissuaderlo, di fargli capire che non era necessario portarmi dei pensieri, sinceramente ho sempre pensato che avesse solo voglia di parlare con qualcuno. Una volta mi aveva raccontato che la famiglia era andata fuori a pranzo e che lui era rimasto a casa a fare la guardia al gatto, ironicamente mi aveva detto: «Certo che un piccione che fa la guardia al gatto non si era mai visto!»
Cosa mi regalava? A volte erano buoni sconti per la spesa, etichette per le valigie, depliant e brochure che recuperava durante le sue visite in altri uffici pubblici, piccoli quadri, articoli di giornale ritagliati e incorniciati, una delle ultime volte è arrivato prima delle feste di Natale, aveva con sé un enorme pacco.
Non pesante, grande, ma sottile, ho pensato che mi avesse portato un poster da attaccare alla parete.
Non avevo sbagliato, solo che non potevo immaginare cosa raffigurasse il poster.
Quando ho scartato il pacco mi sono trovata davanti una di quelle stampe che cambiano immagine a seconda del diverso punto di vista: un’enorme gigantografia della Madonna con il Bambinello in braccio, con colori sgargianti e fluorescenti ma non appena lo sguardo si spostava verso destra o verso sinistra, l’immagine si trasformava in un altrettanto grande Cristo Pantocratore in posizione benedicente.
Sono rimasta senza parole soprattutto perché a suo modesto parere era un oggetto che avrei dovuto assolutamente affiggere in ufficio.
Vi garantisco che nonostante le sue proteste, il «quadro» non fa bella mostra di sé tra le pareti del mio luogo di lavoro, questa volta non sono riuscita assolutamente a venirgli incontro.