“Dicono che le persone siano come una radio: Alcune le ascolteresti per ore e ore, aspettando ogni giorno un loro appuntamento per passarci del tempo assieme. Per altre, invece, non vorresti fare altro che cambiare stazione e congedarle il prima possibile!
La nostra vita necessiterebbe di manopole per il cambio frequenza e non nego che al prossimo stadio evolutivo potremmo vedercene crescere un paio. Magari sui gomiti. Ero al festival del libro di Carpi. L’emittente per cui lavoro mi chiese di intervistare uno scrittore, autore di uno di quei libri d’auto aiuto che tanto andavano negli anni novanta. C’era un capannello di gente intorno a lui, lettori fedelissimi divisi fra fan, groupie, sostenitori e varia umanità in attesa di farsi firmare il libro appena comprato.
Cercando un posto dove potermi organizzare con l’attrezzatura che avevo appresso, trovai un piccolo spazio sul tavolo di un rivenditore di libri d’epoca, affittando un modesto angolino di fianco alla “biografia di Salvador Allende” e La “scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” dell’Artusi, copia limitata. Dopo un paio di minuti mi accorsi della presenza di un signorotto alle mie spalle, un vecchietto simpatico: occhiali tondi, coppola, vestito elegantemente e con quel profumo di “violetta di Parma” che tanto mi fece pensare fosse ben più vecchio di come apparve in realtà. Il signore stava leggendo la copertina di una vecchia copia de: “La domenica del Corriere” e sembrava particolarmente preso dall’argomento dell’articolo, talmente tanto da incuriosire anche me.
– Che cosa sta leggendo, se posso chiedere? – Avanzai al signore. Il mio occhio, nel frattempo, cadde sul titolo: “Il Fuhrer in visita a Roma” del quattro Maggio 1938. Immagine in bianco e nero, con il duce ed il cancelliere tedesco a bordo di una berlina decappottabile. Intorno a loro, nella foto, una schiera di ragazzi che salutavano i due capi di stato. Il vecchietto mi guardò, sorrise, per poi indicarmi uno dei bimbi nella foto. – Lo vedi questo ragazzino? Questo sono io!” – Ci misi un po’ a capire e a collegare due cose così semplici: quel signore stava guardando sé stesso, nella foto di un giornale di settant’anni prima.
Fu breve l’attimo che intercorse fra una mia reazione di stupore e una sua completa descrizione dell’evento. Si ricordava ogni singolo dettaglio di quella giornata, ma la cosa che più mi colpì fu la sua spiegazione, raccontata coi ricordi di bambino, che, all’epoca dei fatti, non sapeva come reagire di fronte al mondo e di fronte alla politica. Non mi persi neanche una parola. In quel momento le mie “manopole radio” si sintonizzarono davvero sul quel signore. Non era uno di quei racconti che puoi sfruttare per farci qualcosa nella vita, non era una storia da premio nobel… MA ERA VERA!
E ogni sua parola mi incantava, così semplice, così ingenua e così naturale! Quando tornai al mio lavoro, all’intervista dello scrittore, mi persi molto di quella demagogia tipica di chi non ha nulla da dire ma che, per via del suo ruolo, deve utilizzare per riempire l’horror vacui che altrimenti si creerebbe; io lo so bene, lavoro in radio. Ma non trovai nulla di più vero di quello che mi disse il signore del giornale. Mi scese un po’ di rammarico pensando a chi, per mestiere, ti racconta la verità, finché non ti rendi conto che la vera “Storia”, la vera emozione, ce l’hai dai racconti di chi si dimostra più vero che mai…
2 Comments
Grazie di questo articolo. Ho “visto ” tutta la scena è ho provato una profonda commozione.
La storia la fanno le persone confuse nella folla, piccole, quelle che nell’anno hanno capito bene che ci fanno lì ma in realtà custodiscono, e creano, esperienze che non troveremo in nessun libro di testo.
Cara Maria Pia, quanta verità nelle tue parole! La Storia le fanno le persone confuse nella folla….che bella frase!! Grazie!!
Ti informo, visto che sei così brava con le parole, che L’Ordinario ha aperto uno spazio per tutti gli scrittori. Se vuoi partecipare mandaci un racconto, un estratto, qualsiasi cosa e noi lo inseriremo!
Daniele, l’autore del pezzo, ti saluta e ti ringrazia per questa tua testimonianza.