Abbiamo assistito per voi a una partita e abbiamo capito che agilità, forza, velocità, riflessi e sicurezza sono solo alcune delle caratteristiche richieste agli atleti che praticano il rugby in carrozzina.
Scopriamo insieme da dove nasce e qual è la situazione italiana di uno sport poco conosciuto ed estremamente adrenalinico!
Il rugby lo conosciamo tutti, è uno sport dove il contatto e lo scontro fisico è normale, fa parte del gioco. Uno sport dove disciplina, spirito di squadra, rispetto e lealtà sono le principali regole da rispettare sul campo di gioco, nei confronti di tutti i partecipanti: atleti, allenatori, arbitri, pubblico e avversari. Ci si confronta in modo duro, deciso e senza remore, ma sempre nel rispetto della persona. Per capire fino in fondo lo spirito del rugby dobbiamo partire dalla fine, dal terzo tempo, la tradizione peculiare di questo sport dove le squadre, dopo essersi affrontate in campo, si ritrovano per bere, mangiare e curarsi le ferite tutti insieme. Non c’è nessuna differenza se gli atleti sono su due gambe o su quattro ruote, lo spirito dello sport non cambia, ed essere avversari in campo non significa essere nemici.
Vi vogliamo portare in un palazzetto, purtroppo uno dei pochi in Italia (ancora), dove lo sport è praticato, ovvero nel nord est, dove la tradizione del rugby è più radicata. Chiudete gli occhi e sentite prima di tutto il rumore di questa disciplina: è un suono metallico di carrozzine che si scontrano e si incastrano tra loro. Le voci dei giocatori e le urla del tifo contribuiscono ad aumentare i decibel in modo considerevole. Si aprono le porte del campo di gioco e si viene investiti da un’energia che arriva nel profondo, è come se l’adrenalina prodotta dagli atleti venisse in qualche modo diffusa e amplificata, tanto da raggiungere le persone presenti e, alla fine, tutti faranno parte della sfida. Le carrozzine sono praticamente blindate, pesantissime e robuste, in metallo e acciaio con ruote rinforzate per resistere ai violenti urti durante la partita. E’ molto comune che qualcosa si rompa e le parti di ricambio sono disponibili subito a bordo campo, dove, oltre all’allenatore c’è un meccanico sempre disponibile. In caso di un ribaltamento, servono due o tre persone per riportare l’atleta “in piedi”, cosa che accade molto di frequente durante i quattro quarti – due per tempo – di otto minuti ciascuno. Si gioca con una palla simile a quella usata nella pallavolo e lo scopo del gioco è di arrivare oltre la meta della squadra avversaria. Il modo di ostacolare il giocatore che tenta di segnare il punto penso che sia chiaro, ci si mette davanti e non lo si fa passare.
Il rugby su carrozzina ha visto i suoi albori in Canada, alla fine degli anni settanta e, nel 1994, è stato riconosciuto come disciplina dal Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) e, nel 2000, in occasione delle paralimpiadi estive di Sydney, è stato organizzato il primo torneo ufficiale. In Italia è uno sport praticamente neonato: nel 2017 si è svolto il primo campionato nazionale e nel 2018, dal 28 al 30 settembre, si è svolta a Roma la fase finale della seconda edizione. Sei sono state le squadre partecipanti (ordinate per classifica finale): Padova Rugby, Polisportiva Milanese, Mastini Cangrandi Verona, H81 Vicenza, Ares Centurioni Wheelchair Rugby e Romanes Wheelchair Rugby.
Una delle peculiarità del rugby in carrozzina è che le squadre sono miste, sia donne che uomini possono gareggiare contemporaneamente. Durante la nostra partecipazione alle paralimpiadi di Londra 2012 abbiamo fotografato le due ragazze presenti. La prima faceva parte della squadra inglese, Kylie Grimes; la seconda della squadra svedese, Per-Arne Kulle. L’edizione di Rio 2016 invece ha visto Miranda Biletski partecipare con la squadra canadese e Coral Batey nella squadra inglese.
La nazionale italiana è giovane ed ha appena iniziato a confrontarsi nelle competizioni internazionali; nell’ottobre del 2018 ha partecipato ai campionati Europei svoltisi in Finlandia.
In generale l’interesse intorno a questa disciplina è in crescita, anche se il problema principale è la ricerca di giocatori e staff tecnici. Alle paralimpiadi di Tokyo 2020 la nazionale italiana ha poche possibilità di qualificazione, ma sogniamo di poter vedere un giorno gli azzurri confrontarsi per una medaglia insieme ai giganti come Australia, USA e Canada.
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