News. Sull’ Ordinario arriva ‘BABELE’, vignetta settimanale che ben racconta i giovani precari

Da oggi, per alcuni mesi, arriva su L’Ordinario “Babele”, la serie di vignette di Daniele Saccani che nasce come satira nei confronti del mondo precario del lavoro moderno, affrontandone ogni tematica in modo ironico e impietoso.

Babele infatti racconta le tragicomiche avventure di un ragazzo qualunque alla ricerca di un posto di lavoro.

Il titolo è una citazione alla leggendaria torre di Babele, universalmente riconosciuta come luogo confusionario, disordinato, pieno di caos, quasi paragonabile a una bolgia. Lo sventurato protagonista si fa portavoce dei giovani italiani, spesso costretti a vivere situazioni al limite del paradossale: fra agenzie interinali dal sentore poco rassicurante e contratti di lavoro al limite della legalità.

Le vignette sono antologiche per battute e vicende ma continuative per protagonisti e tema principale, pensate appositamente per la lunga serialità. Ogni settimana, farà la sua comparsa sul nostro Magazine una nuova vignetta. Per l’occasione abbiamo intervistato l’autore, Daniele Saccani, per conoscere meglio la sua arte e il suo personaggio.

Caro Daniele, innanzitutto grazie per questo “dono”.

Tu sei pubblicitario, giornalista e fumettista. Un giovane che si divide tra mille lavori impegnativi. La domanda sorge spontanea: anche tu “precario” e alle prese con mille difficoltà come il protagonista della tua Babele o puoi dormire sonni tranquilli?

“Il tragicomico protagonista di Babele rispecchia una realtà del sottoscritto e non solo. Molti giovani italiani, come me, sono alle prese con un mondo folle che sembra creato da un disegnatore di fumetti particolarmente cinico. I “mille lavori” nascono da “mille lavori precari”, ogni volta bisogna sapersi adattare e modellare le proprie conoscenze al ruolo che si va a ricoprire: una volta la chiamavano gavetta, oggi lo si chiama “tirocinio professionalizzante”, in pratica si è dei precari fino a 30 anni. Lo scopo del gioco, però, sta nel sapere sfruttare al meglio le proprie conoscenze per non farsi trovare mai impreparati, perché ad oggi i titoli non valgono più, quello che conta è la versatilità!
E ti posso garantire che non dormo sonni tranquilli da qualche anno!”.

Anche se in parte hai già risposto, ti chiedo: per raccontare le varie situazioni hai preso spunto dai racconti da storie di amici o parenti, dalle tue… o altro?

“Come ogni storia che si rispetti, anche in questa c’è un fondo di verità. Ammetto di essere stato l’infelice protagonista di molte delle scene raccontate, anche se il grosso del materiale mi arriva da alcuni amici che lavorano presso le agenzie interinali. La vita da fabbrica e da impiegato ha fatto il resto, fra datori di lavoro rimasti allo schiavismo, e dirigenti HR che assumono solo “apprendisti con esperienza”. È la realtà di tutti i giorni a portare gli spunti migliori, non invento nulla!

Quando e come nasce l’idea di una Babele?

“La Babele è una torre che gli uomini costruirono per arrivare al cielo, per farsi un nome. Ma gli dei, furibondi di questo affronto, decisero di portare il caos in quello che gli uomini costruirono con tanta fatica, confondendo le loro lingue e annebbiando le loro idee, dando vita al caos più totale. Il mondo del lavoro odierno è paragonabile a quella della torre Babele: Col tempo ci siamo costruiti una stabilità, abbiamo dato la possibilità a tutti di “ambire a quel pezzo di cielo tanto agognato” – inteso come un lavoro stabile – e come una Babele, siamo finiti in quello che potrebbe essere
paragonato a una bolgia dantesca. Da qui nasce il nome”.

“Un altro paragone efficace che si presta perfettamente nel rendere l’idea del mondo del lavoro odierno è “La casa che rende folli”, del lungometraggio animato de “Le 12 fatiche di Asterix (di Goscinny e Uderzo). Non nascondo che la volontà iniziale fosse quella di dedicare il titolo al fumetto francese, ma alla fine ho optato per Babele, mi da un senso di follia dietro ad un nome apparentemente innocuo. Il momento preciso in cui mi brillò in testa l’idea di realizzarne delle strip, fu quando mi offrirono un posto di lavoro in campagna come “cane pastore”. Rifiutai, ma con rimorso. Era una situazione talmente assurda che decisi di abbozzare tutte le situazioni più strampalate ed illogiche che mi potessero capitare nel cercare un impiego, il risultato lo potete leggere su L’Ordinario Magazine”.

Quando hai cominciato a disegnare e quando hai capito che sarebbe stata una delle tuo inclinazioni principali?

“Il disegno è una passione che mi porto dietro fin da bambino!
Da quando ne ho memoria mi ricordo di aver sempre disegnato! Non esiste una mia foto d’infanzia senza che io abbia una matita o un pennarello in mano. Il disegno è sempre stato un mio fedele e silenzioso compagno di viaggio, mi rincuorava nei momenti più tristi ed esaltava nei momenti più “ispirati”.
A scuola, durante le ore di lezione più noiose, diventava un passatempo perfetto, arricchivo il libro d’italiano illustrando le poesie, o dando un’immagine ai racconti di Verga e alle prose di Pascoli e D’annunzio. Paradossalmente prendevo bei voti proprio grazie a quei disegni che, in un modo o nell’altro, piacevano ai professori. Le ore di filosofia, sopratutto, erano correlate sempre da strisce con le “mirabolanti avventure” di Hegel, in viaggio verso Ravenna insieme agli amici Kierkegaard e Kant, dove ognuno esponeva le proprie tesi, borbottando frasi qua e là. Posso dire d’aver evitato più
volte la bocciatura grazie a queste vignette. A dire il vero non mi è mai interessato saper disegnare bene, solo… ci riuscivo, non ho mai capito il perché, non ho mai scoperto cosa mi portasse a creare quello che disegnavo, sapevo solo che la mia mano si muoveva e la matita la seguiva. Mi veniva tanto facile che pensai, beh, se mai dovesse diventare una carriera tanto meglio: tanto lavoro senza fatica!”.

Hai anche altri progetti legati al mondo dell’illustrazione e, in particolare, della vignetta?

C’è un importante progetto in corso, ma non ti anticipo nulla, sarà una sorpresa!

 

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