Emozioni d’Italia (9). Il Silenzio di Lajatico (e del mondo?)

Lajatico

Sono trascorsi alcuni mesi dall’ultima volta in cui ricordo di aver acceso la macchina con l’ intenzione di voler raggiungere un luogo per vivere qualche emozione.
Mi suscita sempre qualche bel brivido sentire il vecchio motore della mia fida compagna prender vita per accompagnarmi nella prossima avventura. Nel silenzio di giorni infiniti e vuoti come un angolo di paura, sono sicuro che siamo stati in molti ad aver avuto nostalgia di qualcosa.
Ognuno rinuncia a quel che deve, lascia indietro ciò che può.
Non potendo muoverci abbiamo imparato a viaggiare stando fermi davanti a una finestra o seduti sul divano, ricordando le cose che sono state e immaginando quelle che saranno, trovandoci a dover riscoprire un dono inestimabile che, forse, molti noi avevano dimenticato.
Siamo tornati ad immaginare.
Un mondo migliore, un domani più gioioso, l’abbraccio di un amico, della persona amata.

Emozioni D'Italia Lajatico
Un bello scorcio di Lajatico _Ph. Marco Pellegrini

Le propaggini del Monte Serra indorate dai raggi tiepidi di un bel sole invernale, arrivato come una benedizione a incoronare le colline tinte di vinaccia bruciata, accompagna il mio viaggio, predisponendomi a pensieri calmi e sereni.
Il paesaggio, poco dopo Pontedera, si allarga e il sole dilaga sui campi invernali che, in lontananza, cedono il
passo a colline dall’aspetto curato e gentile.
Il traffico è sparuto, in giro c’è poca gente.
Mi sento fortunato a esser tra questi, e seguire, con un sorriso, i riverberi di luce che giocano a infilarmisi tra le nocche serrate sul volante.
Cipressi alti e maestosi, dall’aspetto un po’ severo, corrono ai lati di questa lingua d’asfalto che si inerpica verso la sommità di un’altura che ospita Lajatico, sono quasi arrivato oramai.

Il cuore della Toscana in inverno profuma di sterpi bruciati portati dal vento e legno antico.
C’è un teatro a Lajatico, un Teatro del Silenzio, e il nome di una meraviglia simile non potrebbe essere differente perché trae la propria linfa da ciò che i tuoi occhi osservano come un’innegabile verità.
È lì che sono diretto.
Rallento a passo d’uomo in prossimità del centro del borgo che è minuscolo, accogliente, vivo.
Qualcuno fuori da un bar sorride dietro la maschera, qualcun altro affretta il passo che l’oscurità ormai è imminente e il sole tramonta già (vedi foto sopra).
Parcheggio sotto un albero e muovo alcuni passi, all’ora del crepuscolo.
La ghiaia scricchiola sotto alle scarpe e il suono rimbomba nell’aria per qualche istante prima di venir risucchiato dal vento della sera che somiglia allo scricchiolio di ossa antiche.

Lajatico
Lajatico, Teatro del Silenzio_Ph. Marco Pellegrini

Appoggiato al parapetto che si affaccia su un paesaggio meraviglioso, lascio lo sguardo libero di vagare dove vuole e incontro Volterra, ferrigna, altera, bellissima, abbarbicata sulla collina più alta tra le tante che si accavallano nei miei occhi.
C’è silenzio nell’ultimo sole della sera.
È lo stesso di quei giorni lontani, di quelle stanze minuscole, di quegli angoli di paura che provano anche adesso a smussarmi il cuore, senza riuscirci.
Il teatro, poco più avanti è tutt’uno con la terra dura e bruciata dell’inverno.
Ospita il busto futuristico di un angelo rivestito di un manto lucido che riflette ovunque gli ultimi bagliori di una giornata intrisa di una vita che, mentre mi immergo in un altro respiro, riscopro essere ricca di un silenzio che stavolta, invece di ferire, cura.
Sul prato sottostante sventolano le bandiere di tutti gli stati del mondo a ricordarci che siamo Uno nella bellezza come nella sofferenza.
Scompare il sole, le colline si adombrano, si alza il vento e inizia a far freddo.
Mi trattengo un solo istante prima di andare e ascolto, in mezzo al vuoto, un altro respiro.

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