Le Storie della Porta Accanto (12). Acronimi difettosi o… dispettosi?

L’acronimo è un nome formato con le lettere o le sillabe iniziali, o più genericamente con sequenze di una o più lettere delle singole parole o di determinate parole di una frase o di una denominazione, leggibili come se fossero un’unica parola.
(Wikipedia)

Nelle Pubbliche Amministrazioni l’uso degli acronimi è ampiamente diffuso, anche troppo direi, e spesso queste sigle non fanno altro che confondere e disorientare i cittadini. Nella mia carriera lavorativa ho incontrato persone che mi hanno chiesto il modulo delle «sette e mezzo» al posto del modello 730, chi mi ha chiesto quello che «vale una volta sola» intendendo il modello Unico e alcuni che volevano parlare con le «Esse-esse» di germanica memoria, mentre in
realtà cercavano i SS.SS. – servizi sociali.

Recentemente uno degli acronimi più diffusi è l’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, si tratta di uno strumento che permette di misurare la condizione economica delle famiglie nella Repubblica Italiana. È un indicatore che tiene conto di reddito, patrimonio e delle caratteristiche di un nucleo familiare, assolutamente necessario per poter ottenere contributi e agevolazioni dalla pubblica amministrazione. Il primo passo e anche quello fondamentale, è spiegare che questo benedetto Isee non lo rilascia il Comune ma l’Inps e che per ottenerlo occorre rivolgersi ad un patronato, consegnando tutta la documentazione richiesta.
Già qui il meccanismo si inceppa. Perché direte voi?
Intanto perché prima di andare in un qualsiasi altro ufficio, tutti devono passare dai nostri sportelli per accertarsi se veramente la procedura è quella che gli hanno indicato e secondariamente perché tra le informazioni che è necessario fornire c’è il saldo del proprio conto corrente al 31 dicembre dell’anno precedente.

La signora Marisa, vedova di Gino, dipendente Enel, proprio non ne vuol sapere e viene da noi in ufficio a sincerarsi che quello che le ha chiesto il patronato sia vero. Alla nostra risposta affermativa non si arrende e avanza l’ipotesi di levare una parte dei soldi dal conto per rimetterceli dopo la dichiarazione.
«Signora Marisa, il saldo non è quello alla data odierna, è al 31 dicembre, quindi non serve a nulla
levare i soldi», le diciamo. Borbotta stizzita che tanto facciamo sempre quello che ci pare e che lei questi dati così riservati non ha alcuna intenzione di comunicarli.

Marcello viene in ufficio spesso, ha bisogno di fare l’Isee per ottenere un contributo per pagare le bollette della luce e dell’acqua, stamattina si è superato: è entrato in ciabatte e pigiama con gli occhi ancora chiusi dalle «cispie» della notte: «dove lo prendo il modulo?» domanda con la voce impastata.
«Il modulo non è da noi ma al patronato», ripondiamo per l’ennesima volta.
Trascinando le ciabatte e tirando su i pantaloni del pigiama di flanella esce dall’ufficio e si avvia verso la sala d’attesa della Asl : «Già che sono qui faccio colazione alla vostra macchinetta del caffè, non è un problema vero?».
Assolutamente no, ormai siamo abituati a tutto, anche al fatto che Marcello resti una buona mezz’ora davanti alla macchinetta lamentandosi che non funziona.
«C’è qualcosa che non va ?» gli chiedo prima che il nervosismo aumenti a dismisura.
«Questa macchina non vuole proprio saperne di darmi il cappuccino!»
«Magari si è bloccata. Ha messo i soldi giusti?»
«Ah – esclama – bisogna mettere dei soldi?»
«Oddio – penso – siamo solo a metà mattina»

Ma il bello deve ancora accadere. Il viavai continua incessante: alcuni hanno il modulo ma non hanno i documenti, altri hanno i documenti ma non vogliono andare al patronato, altri che sono finalmente riusciti ad avere l’Isee
scoprono che è troppo alta per poter accedere al contributo e dunque iniziano a proclamare il proprio dissenso nei confronti del Comune, della Regione e dello Stato.

In mezzo a questo borbottio entra lei.
Avrà sicuramente più di settant’anni, capelli candidi pettinati con un caschetto perfetto, vestita con un completo giacca pantaloni rosa confetto. Si guarda intorno spaesata, indubbiamente non ha mai avuto bisogno dei nostri uffici, chiede alla prima persona che incontra dove può avere delle informazioni.
Qualcuno le risponde di venire da me.
Arriva e mi saluta con educazione.
«Buongiorno, vorrei fare domanda per il contributo affitto. Mi hanno detto che per avere i soldi devo prima iscrivermi all’ISIS, sono venuta a prendere il modulo per iscrivermi»
Cerco di trattenere il sorriso: «Sta parlando dell’Isee vero? La certificazione della sua situazione economica»
«Certo e che cosa ho detto io? Devo iscrivermi all’ISIS, ha capito o è sorda signorina?»

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