Ci incontriamo in un’aula vuota, dopo le lezioni.
Un’aula che sa di freddo, come tutte le aule quando la cultura è in pausa. Ma questa, anche vuota, rimane una stanza speciale, perché è il luogo in cui un ragazzo bullizzato ha ritrovato fiducia nella vita e negli altri dopo anni di dolore.
Siamo all’interno di un’agenzia formativa di Lucca, dove si tenta di dare un’alternativa a chi ha abbandonato la scuola dell’obbligo per vari motivi e magari di insegnargli anche un mestiere. Qui si possono trovare percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) triennale programmati ogni anno dalla Regione Toscana destinati ai giovani che vogliono scegliere un percorso alternativo alla scuola superiore che consenta loro di ottenere una qualifica professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro. L’accesso ai corsi è completamente gratuito e rientra nell’ambito di Giovanisì, il progetto della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani. Le classi sono miste, sia per età, che per percorsi scolastici e nazionalità.
È qui,dicevo, che attendo una mamma speciale. È qui che, grazie a una pedagogista, a docenti e direttori di rara sensibilità, incontro questa particolare storia.
La vedo arrivare: è una donna molto bella, come tutte le donne forti del resto. Ci presentiamo, ci salutiamo calorosamente ma anche con una punta di disagio. Non è facile per nessuna delle due essere qui e lo sappiamo. Lei è Marta, la madre di Fabio (la storia è vera, entrambi i nomi invece sono di fantasia, abbiamo preferito così ndr.), un ragazzo buono e timido e, proprio per questo, soggetto preferito delle azioni dei bulli fin dalle scuole medie che, a causa dei soprusi subiti, ha rischiato di non vivere più. Letteralmente. Io sono davanti a lei per raccogliere anche la sua storia, oltre a quella del figlio, ma, in questo frangente, non posso non essere la bambina tredicenne che 28 anni fa subì per un anno intero le angherie dei compagni e, mentalmente, uscì da quella storia solo molti anni più tardi.
È la prima volta che mi trovo a intervistare una mamma che ha salvato il figlio dal bullismo e dalle sue conseguenze e, come prima cosa, le dico grazie a nome di tutti quei figli come me che, purtroppo, non hanno saputo chiedere aiuto a nessuno, tantomeno ai genitori.
Com’è iniziata? le domando subito. “Mio figlio è sempre stato timido, silenzioso e soprattutto un buono, pensa che una volta è tornato a casa senza scarpe perché le aveva prestate a un bambino autistico che si era buttato dentro una pozzanghera. Mio figlio è fatto così… Ricordo che già alle elementari veniva a casa piangendo, ogni tanto. Poi alle medie sono cominciati gli incubi notturni, il vomito a scuola, finché non mi sono accorta che i suoi compagni di classe erano arrivati addirittura a bucargli la pelle ripetutamente con la punta del lapis. Una volta, a causa di questo, gli è venuta un’infezione”. E infatti Fabio, che abbiamo intervistato poco prima di Marta, ci racconta che proprio alle medie è cominciata la sua esperienza più brutta: “mi offendevano sempre e molto, mi gettavano l’astuccio nel cestino, e poi in terza media mi hanno tirato giù i pantaloni davanti agli altri per due volte. Nonostante questo pensavo che non dovessi dire niente a nessuno, che sarebbe stato meglio rimanere in silenzio. A 13 anni sei grande ma anche piccolo, non ci puoi credere a certe cose. Io non avevo paura, ma ansia sì, tanta, e soprattutto mi sentivo male perché per me quelle persone, erano, fino a poco prima, degli amici e non capivo perché si comportassero all’improvviso così. In particolare sono rimasto molto male di un ragazzino con cui ero amico fin dall’asilo, anche lui è stato dalla parte dei bulli”.
Marta monitora, prendere provvedimenti, segnala la situazione e, quando arriva il momento, sceglie con cura la scuola che ospiterà in futuro Fabio. Ma anche le Superiori, con questo bagaglio emotivo, non sono certo facili per lui: “mi prendevano in giro anche nella nuova scuola, perché stavo sempre da solo, pensavano che non volessi stare con loro, invece la verità è che non sopportavo di sentirli ridere in gruppo perché pensavo che ridessero di me. Mi dicevano “sei simpatico come un cane bastonato” e io avevo le gambe paralizzate. È dalle scuole medie che non sopporto le risate, mi ricordano brutte cose”.
“Dopo sei mesi l’ho tolto da quella scuola – spiega Marta – e a chi mi diceva di aspettare, di non preoccuparmi eccessivamente, ho riposto a gran voce: io lo voglio vivo mio figlio, non con un diploma! Tra le medie e le superiori ho assistito a tutto il cambiamento di Fabio: non aveva più voglia di vivere, non riusciva a dormire bene, cercava di non farmi preoccupare, di nascondermi certe cose, addirittura a volte andava dai nonni proprio per non farsi vedere da me, ma io vedevo e sentivo tutto. Da mamma sono stata malissimo e ho capito che dovevo difendere mio figlio a tutti i costi. Mi sono rivolta a una specialista e quando finalmente lui mi ha chiesto apertamente aiuto, eravamo già un bel pezzo avanti”.
Ed è proprio quando Fabio approda all’agenzia formativa, dopo vari altri tentativi, che le cose iniziano piano piano a cambiare: con l’aiuto di un’esperta e della mamma, il ragazzo capisce che rimanere in silenzio non è la soluzione. Comincia a confidarsi con un paio di nuovi compagni, a raccontare loro che cosa gli è accaduto in passato e, per la prima volta, trova degli alleati, che non solo lo consigliano per il meglio, ma gli diventano amici rispettando i suoi tempi di “apertura”.
“Ho visto mia mamma piangere, ma è anche grazie al suo aiuto, al suo incoraggiamento, che ho trovato il coraggio di parlare di tutto e ora lo sto facendo anche con te”, mi dice e continua – A chi mi ha fatto del male non so che cosa direi adesso, so però che sono persone che hanno problemi in famiglia. Da un lato le posso capire, dell’altro no. Hanno bisogno di essere aiutati”.
L’ultimo rapporto Istat – datato ormai 2014 – riporta che oltre il 50% dei ragazzi in età compresa tra gli 11 e i 17 anni, hanno subito qualche atto offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi. Alcuni recenti rapporti sul tema meno ufficiali parlano di oltre il 63% nel 2019. In ogni caso sono oltre la metà delle famiglie italiane con ragazzi in età scolare ad avere a che fare con il bullismo. Ci tengo a dire famiglie, perché quando un ragazzo è vittima di bullismo il problema dovrebbe interessare tutta la famiglia, ma anche la scuola e lo Stato. Finalmente si è passati oltre la definizione “è solo uno scherzo”, si sono fatte delle leggi in merito, ma la strada è ancora lunga e già costellata di innumerevoli giovani vittime. La storia di questa madre e di questo figlio, ci insegna una volta in più che è fondamentale non sentirsi sbagliati e trovare il coraggio di chiedere aiuto. Ma non basta. Perché quando si parla di bullismo, si parla ancora troppo poco dei danni psicologici.
Di Marta mi è rimasto impresso lo sguardo, forte, fortissimo, e spesso annacquato da lacrime trattenute, a peritura memoria di troppa, inutile, sofferenza. Di Fabio mi è rimasta sulla pelle una frase, che ci accumuna nel vissuto, quella sugli amici, creduti tali fino agli atti di bullismo.
Ecco, in tutte queste vicende, a chi subisce bullismo, rimane impresso per sempre il tradimento subito, lo smarrimento di qualcosa che non si comprende fino in fondo (e che non si comprenderà mai nemmeno a 90 anni): gli amici che all’improvviso diventano nemici, che svendono un valore come l’amicizia per seguire la tendenza, “la moda” del Bullo e ci fanno sentire sbagliati. Si dovrebbe riflettere molto di più su questo punto, perché le cicatrici che lasciano queste esperienze, stanno tutte qui dentro: nel fallimento dei valori per la ricerca di un potere effimero e violento. Non è, in fondo, la cancrena della società civile in ogni settore? Ecco perché il seme che genera il bullismo andrebbe trattato come tale. Impariamo a prenderci più cura dei nostri giovani, sarà come prendersi cura di noi stessi, del nostro Paese, del nostro futuro.