«La pazienza soccorre la collera.» Clarissa Pinkola Estès
In questi giorni di quarantena obbligata, in cui dobbiamo giocoforza mettere in campo tutta la pazienza possibile, mi torna alla memoria una delle tante mattine in ufficio in cui mantenere la calma sembrava veramente impossibile.
E’ una storia di qualche anno fa, un ricordo al quale sono particolarmente affezionata perché condiviso con una collega che oggi non lavora più con me ma che rimarrà per sempre nel mio cuore.
Era un giorno particolare, frenetico, assurdo, di quelli in cui il telefono non smette di squillare, in cui le richieste sono improponibili, la tecnologia ti si rivolta contro. Il pc si impalla, la fotocopiatrice non funziona e la rete internet saltella tra up e down costringendoti a ripartire sempre da capo e, come se tutto questo non bastasse, «i capi» pretendono il disbrigo di pratiche chiedendole praticamente con scadenza ieri.
Per sorridere e rendere meno nervosa la mattina, con la collega abbiamo deciso di appendere un cartello ironico al vetro della finestra: «Poiché amiamo lavorare sempre sull’orlo del baratro, per favore chiedeteci le cose sempre all’ultimo momento».
Era un modo tutto nostro per esorcizzare quelle giornate in cui si tornava a casa con la testa che frullava a mille.
Spesso capitano questi periodi, di quelli in cui nelle pubbliche amministrazioni tutti cercano di far vedere quanto sono stati bravi, il periodo dell’anno in cui si deve per forza inaugurare qualcosa. Magari anche più di una, che fossero strade, piazze, scuole poco importava. Il nostro ufficio si trovava sempre coinvolto in questi eventi, per essere sempre pronte al «taglio del nastro» ne avevamo acquistato una quantità spropositata, ridendo dicevamo che avremmo potuto avvolgere nel nastro tricolore tutta la provincia.
La mattinata è proseguita così, agitata e convulsa come non mai, con gente che continuava a entrare nell’ufficio borbottando una sfilza di richieste e uscendo senza neppure accertarsi se avesimo realmente compreso quello che era stato detto.
Accadeva sempre, mentre entrambe eravamo impegnate a un lavoro al pc o al telefono, il collega entrava, parlava e usciva, al che ci guardavamo in faccia e reciprocamente ci domandavamo: «Ma tu hai capito quello che voleva?» e poi esplodevamo a ridere.
C’era veramente una bella sintonia, di quelle che vanno oltre il semplice rapporto tra colleghe e anche senza parlarci riuscivamo sempre a capire quello a cui l’altra stava pensando.
Quando sono arrivate le 14 all’unisono abbiamo esclamato: «E’ finita.»
La collega ha ribattuto: «Oggi ci è successo praticamente di tutto, credo che ormai non possa accadere più nulla».
E’ stato in quel preciso momento che qualcuno ha bussato alla porta.
Ci siamo guardate, io ho mormorato a bassa voce: «Avanti»
Dalla fessura della porta che si apriva ho visto un uomo che indossava qualcosa di arancione, abbiamo immediatamente pensato che fosse uno degli operai della cooperativa che gestiva il servizio di raccolta rifiuti.
«Sarà arrivato ora perché avrà atteso la fine del suo turno» – abbiamo pensato.
Quando la porta si apre del tutto ci accorgiamo invece che si tratta di un uomo di mezza età con la testa completamente rasata, fatta salva una lunga ciocca di capelli sul retro del cranio, indossa una lunga tunica color arancio: un Hare Krishna.
Entra con le mani giunte e ci fa un piccolo inchino: «Buongiorno, posso vendervi dei libri?»
«Abbia pazienza – lo esortiamo – è stata veramente una pessima mattina e abbiamo voglia solamente di andare a casa».
Sarà stato il tono della nostra voce, gli sguardi in tralice che gli abbiamo rivolto o gli occhi fuori dalle orbite, questo non lo so, fatto sta che inizia a spiegarci che la collera è una cattiva consigliera e che i libri che intende proporci sono proprio adatti per imparare a convivere con lo stress e con l’ansia.
Dopo aver modulato l’Om mantra dei monaci tibetani siamo riuscite a farlo uscire dalla stanza.
Chi delle due aveva detto che non avrebbe potuto accaderci più nulla??