Alessia, vi racconto che vuol dire essere un’infermiera

In questi giorni in cui il tempo non è più nelle nostre mani, dobbiamo cominciare a pensare che necessariamente qualcosa cambierà o che noi dovremo cambiare: un diverso modo di agire, un diverso modo di giudicare gli altri, un diverso modo di vivere.

Già ci stiamo allenando a questi cambiamenti, a partire dal nostro approccio alla Sanità pubblica: dove sono finiti quelli che in molti chiamavamo «fannulloni», quelli che «timbravano in pigiama», quelli che il più delle volte «rubavano lo stipendio»?

Improvvisamente e con un po’ di retorica abbiamo iniziato a chiamarli «eroi» o «angeli», eppure sono sempre loro, gli stessi di prima, costretti a fare i conti con tagli continui alle finanze dello Stato, in prima linea e a volte disarmati contro un nemico subdolo, che corre molto più delle Finanziarie o delle Leggi adottate d’urgenza.

Per scoprire qualcosa di più di questo mondo che stiamo osservando di riflesso dai canali televisivi, noi dell’Ordinario abbiamo incontrato Alessia Cerbara, uno di questi angeli e ci siamo fatti raccontare cosa significa oggi, anche a livello personale e famigliare, lavorare in un ospedale.

 

Alessia Cerbara, infermiera a Roma

Alessia, benvenuta! Raccontaci qualcosa di te, chi sei, dove lavori.

“Ciao e grazie per l’accoglienza e la possibilità di poter raccontare la mia esperienza nel delicato momento storico che, ognuno di noi e a suo modo, sta vivendo e affrontando.

Prima di tutto, mi presento: mi chiamo Alessia e svolgo la professione di Infermiere da ormai venti anni. Mi sono laureata nel 2000 e negli anni ho conseguito altri titoli accademici e la mia continua formazione in medicina non è mai stata, né viene mai, abbandonata.

Come molti miei colleghi, prima di vincere i primi concorsi nel pubblico e approdare alla mia attuale realtà lavorativa, ho fatto la classica gavetta nel privato o, grazie ad avvisi pubblici, fatto esperienze a tempo determinato in realtà pubbliche che mi hanno permesso di conoscere molteplici e diverse realtà professionali che hanno contribuito, assieme al pubblico in cui sono ora impegnata, a formare e disegnare quella che sono ora, in ogni sfaccettatura.

Amo il mio lavoro e nonostante le sue criticità, problematiche e privazioni che ogni giorno comporta, sarà sempre e solo l’unico che mi rispecchia e potrò mai svolgere nella mia vita. Il feed – back positivo che mi arriva dalle persone che assisto è il mio pane quotidiano e il sempre bel rapporto con i vari team assistenziali con cui mi sono rapportata, è la mia soddisfazione interiore.

Entrambi mi aiutano e sono di sprone nei momenti difficili e mai come ora, sono la mia linfa vitale.

Il mio odierno datore di lavoro, da più di sedici anni, è una grande azienda ospedaliera di Roma, HUB Covid nel Lazio che, per ovvi motivi di privacy legati alla mancanza di autorizzazione dirigenziale, al momento concentrata nell’emergenza – urgenza SARS Cov 2, non sono in grado di poter citare. E’ una realtà lavorativa, come praticamente quasi tutte sul nostro territorio italiano, depauperata da anni di regime fiscale incontrollato, che si è ripercosso a cascata sulla cronica mancanza di personale, di strutture adeguate e presidi idonei e che, nonostante ciò, sta facendo del suo meglio in questo momento.

E io, nonostante le tante difficoltà, la latente insufficienza o inidoneità dei dispositivi di protezione individuali (DPI), veicolati nelle unità operative Covid e di emergenza – urgenza, sono orgogliosa di farne parte.

Attualmente svolgo la mia professione presso il Servizio Ambulatoriale di Ostetricia e Ginecologia che, a parte l’assistenza routinaria e differibile di ginecologia (come, peraltro, avviene su tutto il nostro territorio), non ha mai smesso, giustamente, di garantire in toto l’assistenza ostetrica e ginecologica di emergenza – urgenza e di screening e follow up oncologico.

I nostri protocolli e procedure sono necessariamente mutati per far fronte alla pandemia SARS Cov 2 relativa e la nostra politica di contenimento del contagio è rigida e standardizzata in tutta l’azienda. Siamo un team affiatato, professionale ed empatico e ci si supporta a vicenda. Sono orgogliosa di farne parte e non li ringrazierò mai abbastanza per quanto ci siamo gli uni per gli altri e per come assistiamo i nostri utenti, mai come ora, preoccupati e bisognosi di puntuale e precisa educazione sanitaria”.

Avete compreso subito che non si trattava di una semplice influenza? Avete avuto paura?

“Da subito abbiamo compreso poco, sono sincera, vista la scarsa, frammentaria e pressocché imprecisa informazione che ci perveniva. In più, abbiamo peccato di presunzione nel non comprendere che, nonostante la Cina fosse molto lontana, il virus Covid – 19, sarebbe stato un problema mondiale che avrebbe unito e distanziato tutti, al contempo.

Uniti negli intenti, lontani per preservazione.

Devo dire, altresì, che la virulenza, la mutevolezza e l’alta contagiosità del ceppo europeo, ci è stata ben chiara da subito e la rigida politica del “distanziamento sociale” e le varie fasi di progressione dello stesso, uniche nostre armi fino al vaccino – profilassi che metterà la parola fine reale, ci hanno permesso di contenere danni, in termini di persone ed economia, ancor più gravi e deleteri.

Mi chiedete se abbiamo paura e io posso rispondere per me ma, credo, di parlare per molti di noi operatori sanitari.

Sì, abbiamo paura, ne avevamo e ne avremo fino a emergenza rientrata ma, soprattutto, per chi è, necessariamente, accanto a noi, per i nostri cari di fatto e per chi viene in nostro contatto a causa del nostro lavoro.

Io, ve lo confesso, sono in autoisolamento da fine febbraio e ancor prima del DPCM dell’otto marzo, feci visita ai miei cari e, mantenendo già la distanza di sicurezza, ho detto loro, con una freddezza che non so dove ho trovato, cosa avrebbero dovuto fare da quel giorno in poi e come avrebbero dovuto comportarsi tra loro e fuori casa (né più né meno, ciò che verrà poi detto dalle autorità scientifiche sanitarie e governative e messo in atto da tutti) e che loro, che non vivevano con me, non mi avrebbero più rivista fino a che tutto non fosse finito.

Il resto della famiglia con cui vivo, invece, cerco di proteggerla isolandomi il più possibile nella mia stanza, mantenendo la distanza di sicurezza in ogni mia mossa quotidiana e usando asciugamani propri. Non è facile, lo ammetto, io sono una persona che abbraccia, bacia, coccola chi ama e questo nuovo modo costrittivo di rapportarmi mi dilania, ma li amo, quindi questo è l’unico modo possibile ora, perché sono, di fatto, un pericoloso e potenziale veicolo di contagio visto il mio ruolo e l’unica che esce per bisogni e necessità familiari (spesa e farmacia per noi e i nostri animali)”.

Raccontaci come è cambiato il tuo modo di lavorare ora che siamo in piena pandemia.

“Come detto in precedenza, il nostro lavoro è mutato di molto sia negli atti infermieristici che nelle protezioni usate per contenere il contagio del virus. Giornalmente effettuiamo un pre – Triage Covid – 19 telefonico alle utenti che afferiranno al nostro ambulatorio il giorno seguente e se in qualche sua parte risulterà positivo, la donna verrà invitata, qualora non lo avesse ancora fatto, ad avvisare il proprio medico di famiglia e le autorità competenti con il numero verde nazionale, viceversa il pre – Triage risulterà negativo lo troverà presso la nostra accettazione il giorno seguente, lo leggerà e firmerà.

Abbiamo istituito due steps di accettazione, con due di noi, che fungono da filtro per il triage, qualora alcune persone non fossimo riuscite a raggiungerle telefonicamente o per le assistite che confluiscono in regime di emergenza – urgenza presso di noi (il triage si concluderà nello stesso modo di quello telefonico).

Ogni nostro comportamento viene corredato da educazione sanitaria precisa e dettagliata (per quanto in nostra conoscenza, vista la nuova patologia e la latenza, in termini di evidenze scientifiche, di neanche un mese rispetto alla sua prima manifestazione), perché il terrore che serpeggia è palpabile e oltre al conforto che è sempre parte integrante, riusciamo a fornire un’assistenza di cui vado molto fiera. Indossiamo tutti i DPI necessari a nostra e altrui protezione e l’igiene e disinfezione di noi stessi e dell’ambiente in cui lavoriamo sono le nostre priorità più che mai, in questo momento. Agiamo in scienza e coscienza e ogni nostro movimento è ragionato e ponderato e ci supportiamo vicendevolmente per assistere al meglio chiunque abbiamo di fronte.

Dubbi di coscienza ne abbiamo a iosa e quello più importante è quello relativo al concetto spinoso e delicato della necessità di prendere parte a rianimazione cardio – polmonare.

Io posseggo, come molti miei colleghi, BLS, BLS – D e ALS e in passato mi è capitato più volte di procedere a rianimazione cardio – polmonare in ambiente protetto e/o di soccorre per questioni meno gravi sul territorio e non mi sono mai tirata indietro. Purtroppo però, vista la situazione attuale, non ci sono protocolli avallati né linee guida precise in tal senso o per lo meno, non si riesce a reperirne di certi e validati per e a causa dell’emergenza – urgenza SARS Cov 2, quindi, dovendo trovarmi nella necessità di intervenire, è un quesito etico e di responsabilità cogente verso il prossimo e me stessa. Se ne è discusso tra noi colleghi, ma le risposte sono contraddittorie almeno tanto quanto la problematica senza risposte scientifiche alla base quindi, spero che se mai mi dovrò trovare in una situazione del genere, intelletto, lungimiranza, conoscenze, etica e morale mi condurranno verso la giusta soluzione per tutti”.

Quanto è difficile convivere con la paura di essere contagiati o di contagiare la propria famiglia?

“Quello che noi operatori sanitari stiamo provando in questo periodo è un insieme di sentimenti difficili da far comprendere se non li si vive sulla propria pelle e differenti a secondo della realtà lavorativa in cui si opera.

I miei colleghi che lavorano in unità di emergenza – urgenza, infettive tradizionali o Covid franche sono equipaggiati come da linee guida in caso di virus altamente contagiosi, non bevono quasi per non avere necessità fisiologiche, soffrono caldo e ipercapnia da mascherina, hanno visi e mani lise o feriti profondamente eppure io non so cosa significhi davvero, posso immaginarlo, ma percepire nell’intimo il loro dolore e la loro preoccupazione, non riesco davvero.

Io, differentemente, lavoro in una unità operativa a basso – media intensità di cura e per certi versi, è meglio e peggio, nello stesso tempo. Meglio perché ,seppure ogni assistito che afferisce da noi viene considerato e trattato come un potenziale positivo, di fatto, non siamo una un’unità infettiva o Covid specifica; peggio perché, per garantire DPI e sicurezze alle unità di cui sopra, andiamo in sofferenza delle stesse garanzie.La nostra assistenza è ancor più vigile e attenta di sempre, non si stacca mai, neanche fuori del nostro posto di lavoro e lo stress è ormai compagno di vita sempre.

E’ stancante, sia a livello emotivo che fisico, ma è la realtà attuale e non si può far altro che farla nostra e affrontarla come meglio si può, ognuno a suo modo.

Il nostro benessere è il bene di tutta la collettività quindi, proteggere noi è proteggere tutti. Siamo il bene e il potenziale male e questo, alla lunga, lacera l’anima ma cerchiamo di non far trapelare nulla o per lo meno, ci impegniamo molto.Il nostro sorriso, dietro le nostre mascherine, è la nostra arma vincente perché si rispecchia su chi ci vede e contagia lui e di riflesso noi e seppure dentro si sanguina, sarà balsamo per tutti. Il mio sorriso tento, anche se a volte fallisco, di portarlo a casa perché i miei familiari temono per la mia salute, tanto quanto io tremo per la loro e dopo la mia solita ora, più o meno, di bonifica di me stessa e tutto ciò che indosso, cerco di mantenerlo per il resto del tempo che sono in contatto con loro.

Siamo tutti frangibili e ogni tanto abbiamo bisogno, gli uni gli altri, di farci riassemblare al meglio ogni nostro pezzettino perso o caduto, per affrontare il nuovo giorno che ci aspetta, il domani di ognuno, di chi esce di casa per necessità e di chi ci resta per protezione”.

Tutti vi chiamano «eroi», voi come vi sentite?

“Eroe, etimologicamente, è colui che, per eccezionali virtù di coraggio o abnegazione, si impone all’ammirazione di tutti. E’ un concetto forte e coinvolgente e, per certi versi, potrei dire che sì, lo siamo. Lo siamo perché, nonostante difficoltà, sofferenza, privazioni, preoccupazioni e senza quasi mai riuscire a riposare, continuiamo a svolgere il nostro lavoro con la stessa professionalità di sempre.

Lo siamo perché rischiamo la nostra vita e quella di chi amiamo, eppure siamo in prima linea ogni giorno e a volte, non protetti come dovremmo. Ma, di fatto, non ci riteniamo tali perché i rischi che il nostro ruolo comporta li abbiamo sempre avuti ben chiari e da quando abbiamo recitato per la prima volta, il nostro “Giuramento di Ippocrate”, c’è stato tatuato nell’anima e mai ci tireremo indietro o volteremo le spalle a chi soffre e la cui guarigione dipende dalle nostre mani.

L’affetto e la vicinanza nonostante la lontananza, il calore e la stima che ci sta arrivando sono di grande conforto per noi e la mia professione che, purtroppo, non è mai stata riconosciuta come avrebbe dovuto, ne sta risentendo in modo molto positivo.

E voglio credere e sperare che la nostra Sanità venga riabilitata per come merita davvero; il nostro Servizio Sanitario Nazionale è tra i migliori in Europa e anche rispetto ai Paesi Anglo – Sassoni, sia come professionalità del personale tutto che ci opera, che come strutture. Bisogna ricordarcelo quando viene depauperato fiscalmente e mentanere il buon giudizio che lo riguarda che, solo in questo momento di crisi mondiale, gli è stato restituito”.

C’è un messaggio che vorresti dare a chi ti legge?

“Non c’è un unico messaggio, ma più d’uno sinceramente e spero che verranno compresi, fatti propri e modulati da ognuno di coloro che mi leggerà.

Prima di tutto, che la vita è un dono incommensurabile e prezioso; non lo si deve dimenticare mai. La si deve rispettare e vivere appieno per noi stessi e chi ci ama. Non di meno, che la propria libertà finisce dove inizia quella del nostro prossimo e che il rispetto di quest’ultimo confluisce nel bene comune.

L’uomo è un animale sociale e deve vivere rispettando sé e il mondo che lo circonda.

La natura si sta riprendendo spazi che le abbiamo rubato in modo indiscriminato; cerchiamo di ritornare a essa con la mano tesa, rispettandola come in un passato fin troppo lontano. Ne gioveremo tutti.

Altrettanto importante è non dimenticare ciò che stiamo patendo e le tante, troppe morti e di continuare a tener duro perché una fine ci sarà, prima o poi; la storia insegna e noi dobbiamo imparare da essa se vogliamo sopravvivere. Ne usciremo cambiati, molti non ce l’avranno fatta, purtroppo, ma spero che chi ci sarà alla fine del tunnel e tornerà a guardare un cielo senza nuvole, sarà migliorato negli intenti e nei comportamenti. Ci vorrà tempo e il ritorno alla normalità, per come la conoscevamo, è incerto e deve essere necessariamente graduale e ponderato. Io, sinceramente, ho apprezzato e apprezzo, il lavoro del nostro governo. Mai come in questa situazione, mi ci sono ritrovata.Di errori se ne sono fatti molti, sia in ambiente scientifico sanitario che da parte dei nostri governanti, ma siamo uomini e siamo nati per errare, quello che invece non dovremo fare è dimenticare e reiterare.

La scienza è imperfetta nella sua perfezione, ma il libero arbitrio deve saperci guidare verso il giusto e ognuno, con intenzioni propositive e positive, sarà la salvezza del proprio prossimo. E ultimo, ma non meno importante, di non dimenticare quanto la nostra Sanità ha dato e continua a dare per tutti noi, sia in termini di vite umane che di professionalità, anima e cuore senza mai risparmiarsi né lamentarsi.

 

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11 Comments

  • Grazie all’autrice per questa toccante intervista e grazie ad Alessia di cui sono orgogliosissima zia.
    Non ti ringrazieremo mai abbastanza. Mi rivolgo a te in riferimento all’esercito di infermieri, medici e operatori a tutti i livelli impegnati nella Sanità.
    Ma il mio cuore batte forte per te e sono preoccupata per te, tua sorella Silvia e per mia sorella Patrizia che ha cucito la mascherina che indossi, in un momento di disperazione data dalla mancanza on ospedale. Ti amo. Zia Ross.

  • Orgoglioso di te 😍

  • Grazie dal profondo del cuore zia!
    Abbiate cura di voi!!
    Ti abbraccio fortissimo
    ❤️

  • Grazie fratellone mio!!
    Abbi cura di te e della tua meravigliosa famiglia!!
    ❤️

  • Un grazie sincero a tutto lo staff de “L’Ordinario” per la meravigliosa possibilità che mi avete dato invitandomi a parlare di me e della professione per cui mi sento di essere nata.
    Vi seguo sempre con molto piacere e sono certa, alcuni dei miei contatti, avendovi conosciuti e apprezzati in questo frangente, inizieranno a fare altrettanto.
    Continuate così perché sapete, davvero, toccare animi e valorizzare concetti importanti e nel mio caso, vitali.
    Vi abbraccio
    Alessia

    • grazie, continua a seguirci troverai molte altre storie, questo è la nostra mission riportare le persone al centro

  • Questa splendida intervista conferma ciò che ho sempre pensato di te e sempre sosterrò : una donna, un’amica, una zia, una sorella, una cognata e un’infermiera unica e meravigliosa nella vita e nel lavoro. La dedizione, la professionalità e la passione che mettete nel vostro lavoro sono fondamentali per questo Paese e spero che qualcuno “dei piani alti” possa rispondere con il giusto rispetto, tutela e riconoscimento che vi meritate non solo in questo momento di emergenza sanitaria, ma da sempre e per sempre.

  • …e la vostra mission arriva forte e chiara!
    Complimenti!!
    Un abbraccio

  • Grazie cognata migliore che potessi desiderare!
    Tu, come me, metti il cuore nel tuo lavoro e percepisci le sfumature dell’amore che si investe in ciò che si crede!
    Grazie dal profondo del cuore!
    Ti abbraccio forte

  • Carissima Alessia, questa bellissima, commovente intervista su ” L’Ordinario” ci ha fatto capire ancora meglio tutto l’amore, l’abnegazione, la professionalità con cui tu eserciti la tua delicata attività come infermiera professionale, soprattutto nel momento critico che stiamo attraversando. Ci hai fatto conoscere aspetti particolari del tuo lavoro molto stancante ma che tu e il tuo team affrontate con il sorriso dietro le mascherine per incoraggiare al meglio le vostre pazienti.
    Tu sei la nostra Eroina perché sei in prima linea con tutti i pericoli di contagio e perché sei sempre stata vicino alla tua famiglia con tutte le tue affettuose premure e attenzioni.
    Ci sono piaciuti e condividiamo i tuoi messaggi finali:il rispetto per la vita, per la natura e la speranza in una Sanità più efficiente che consideri al massimo e nei vari ambiti il sacrificio encomiabile di tutti gli operatori sanitari che stanno dando l’anima per salvare vite umane.
    Siamo onorati e ti stimiamo tanto per quello che fai per professione secondo il ” Giuramento di Ippocrate ” che hai impresso dentro di te come un tatuaggio . Ti vogliamo un mondo di bene e ti seguiamo e seguiremo sempre nel tuo cammino di vita.
    Con profondo affetto. Lucia e Papy.

  • Cari Papà e Lucia,
    vi ringrazio dal profondo del cuore per il calore e il supporto con cui mi siete sempre accanto, per la stima sincera che provate per me e per le bellissime parole che avete speso in questa occasione, come nel passato.
    È stata un’emozione partecipare a questa intervista e il calore che mi sta tornando mi fa bene davvero molto!
    Vi abbraccio fortissimo ❤️

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