La “nostra” Daniela Tresconi, gornalista, scrittrice e molto altro è, però, prima di tutto, una impiegata di un ente pubblico, con la funzione di informare i cittadini su tutto ciò che accade. Un lavoro che la pone in prima linea tra i servizi necessari e che, adesso, ha dovuto riorganizzare in smart working. Proprio per questo, abbiamo deciso di intervistarla e lei ci racconta tante cose interessanti del suo importantissimo servizio pubblico in tempi di coronavirus…
Daniela, tu lavori per un ente pubblico, come è stato recepito all’inizio, i primi giorni, il coronavirus? Che informazioni giravano in Comune?
“Ovviamente per tutti e anche per noi, all’inizio il Coronavirus era il problema di un altro Stato. Quando anche in Italia si è ammalata la prima persona, ci siamo trovati a fare i conti con il fatto che proprio per il nostro lavoro eravamo sicuramente esposti al virus o potevamo in qualche modo diventare un luogo in cui poteva svilupparsi liberamente. L’afflusso continuo e costante di pubblico, le sale d’attesa piene di cittadini, le riunioni operative, ogni momento poteva diventare occasione di trasmissione. Il nostro modo di lavorare ha iniziato progressivamente a cambiare, sono comparsi i disinfettanti per il pubblico con la scritta «utilizzare prima di entrare nell’ufficio», ciascuno di noi provvedeva a pulire scrivania e telefoni più volte durante la mattina, il pubblico veniva fatto entrare in modo scaglionato. Tutto questo però è durato relativamente poco, dopo solo una settimana molti di noi erano già in «smart working» “.
Quando avete capito che invece la situazione sarebbe stata più grave di quello che si diceva e pensava?
“Il giorno in cui abbiamo appreso dalla stampa che anche il nostro territorio aveva il suo primo contagiato, è stato un momento difficile. Da quel giorno abbiamo capito che non era necessario essere una grande città, che tutto quello che avevamo visto in tv sarebbe potuto arrivare anche da noi. Era un sabato, da quel giorno non abbiamo mai smesso di mettere testa e cuore nell’organizzazione di un nuovo modo di gestire il Comune”.
Quale tipo di supporti avete dato e state dando ai cittadini?
“Siamo una realtà non troppo grande da essere considerata città ma neppure troppo piccola per essere un paese, abbiamo un territorio vasto con oltre 10mila abitanti suddivisi in molte piccole frazioni e borghi storici e soprattutto con moltissima popolazione anziana. Il sostegno e l’aiuto alla cittadinanza è stato da subito il nostro obiettivo primario. Grazie alla preziosa collaborazione con le associazioni di volontariato che sono molto attive sul territorio e con i gruppi di protezione civile è stato organizzato un servizio di consegna a domicilio di generi alimentari e farmaci per tutte le persone anziane o che non hanno aiuto da famigliari, attivando un numero verde di prenotazione.
E’ appena partito anche un servizio di aiuto telefonico «ProntoNonno», gli anziani soli che hanno bisogno di sostegno, di informazioni o anche solo per fare una chiacchierata, troveranno un operatore disponibile dall’altro capo del telefono. Gli uffici comunali, inoltre, sono disponibili per i servizi essenziali previo appuntamento telefonico e i colleghi dei servizi sociali forniscono informazioni per l’ottenimento dei contributi alle famiglie da Stato e Regione. Sul territorio sono operativi sia il personale della Polizia Locale che il personale operaio. Gli uffici sono chiusi ma #noicisiamo”.
Tra i cittadini che cosa si percepisce di più: paura, prudenza, imprudenza, disinformazione?
“Lavorando a contatto con il pubblico ho assistito al ciclo di tutti i sentimenti. All’inizio probabilmente abbiamo sottovalutato quello che sarebbe poi accaduto, ci sembrava lontano, dall’altra parte del mondo. Il cambiamento è arrivato repentino e molti si sono adeguati subito seguendo prudenti comportamenti, rispettando rigorosamente le nuove regole che ci costringevano a stare in casa, alcuni hanno mantenuto atteggiamenti un po’ superficiali anche se credo ormai siano veramente pochi quelli che non hanno compreso la gravità della situazione. Disinformazione non ne ho vista, semmai molti peccano di eccessiva «presunta informazione», divulgando anche notizie senza alcun fondamento. Questo credo sia fortemente deleterio per il superamento delle criticità”.
Adesso stai lavorando da casa, come svolgi il tuo lavoro e in che cosa consiste?
“Sono a casa dall’8 marzo, la prima settimana quella in vera emergenza, è stata convulsa: praticamente senza orario, dalla mattina alla sera, per organizzarci e strutturare al meglio le nostre attività. Ora siamo pienamente operativi anche da casa: ho l’accesso a tutti i programmi che gestivo dall’ufficio, posso scaricare la posta, redigere atti, rispondere al telefono. Lavoro a stretto contatto con il Sindaco e la Giunta, seguendo soprattutto la parte comunicativa e di informazione alla cittadinanza: avvisi, post sui social e sulla pagina istituzionale dell’Ente, risposte alle numerose domande che arrivano via mail e via chat.
La mattina si comincia alle 7.30, seguiamo il vorticoso susseguirsi di informazioni, facciamo riunioni operative vie skype e prepariamo gli atti necessari per il funzionamento e l’attivazione dei nuovi servizi alla cittadinanza. Il funzionamento amministrativo dell’Ente prosegue, alcuni di noi lavorano più sull’emergenza Covid, altri garantiscono le attività istituzionali”.
Quando non lavori come trascorri il tempo? Con chi sei in casa?
“Sono in casa con la mia famiglia: mio marito e mio figlio, che solitamente è dall’altra parte del mondo, ma il caso ha voluto che la sua partenza slittasse e quindi ora è qui con noi. Leggo molto (faccio parte della giuria del Premio Letterario Città di Sarzana e mi sono arrivati più di trenta romanzi. Se non ci fosse stata la pandemia credo che non avrei potuto fare il mio dovere di giurato!), cucino, passeggio nel mio giardino, qui dove abito io lo facciamo tutti, se qualcuno ci vedesse dall’alto potrebbe pensare di trovarsi di fronte a tanti piccoli allevamenti di galline. Faccio ginnastica e pedalo un po’ sulla cyclette, ho finalmente iniziato a vedere delle serie tv che mi appassionavano ma non avevo mai il tempo di guardare. Alcuni giorni sono pesanti poi penso a chi lavora negli ospedali, a chi è malato e mi rimprovero: non lamentarti, sei fortunata!”.
Vuoi dire qualcosa di particolare a chi ci legge?
“Gli eventi che ci accadono non sono mai dovuti al caso, questo in particolare, soprattutto per tutti quelli come me che sono cresciuti in un’epoca di relativo benessere e di libertà, è una sorta di «diluvio universale», il «nostro diluvio universale». La fine del mondo per come lo conoscevamo. Ricordo un vecchio parroco che una volta mi disse: «La fine del mondo non significa che la terra verrà spazzata via e moriremo tutti, la fine del mondo avviene ciclicamente ogni volta che qualcuno o qualcosa ci costringe a ripartire da capo.» Credo che avesse ragione, questa pandemia ha distrutto tutte le nostre certezze, la nostra fame di invincibilità. Ha messo in ginocchio tutte le nostre proiezioni a lungo termine. Dobbiamo ripartire, sfruttando quello che ora stiamo imparando: possiamo vivere anche senza uscire tutti i giorni con la macchina, possiamo vivere anche senza la quotidiana colazione con la brioche ai cereali che ci piaceva tanto, possiamo vivere comprando nel negozio sotto casa, molti possono lavorare anche dalle proprie abitazioni. Chissà se tutti vorranno tornare ad essere quelli di prima. Se tutto questo ci avrà insegnato qualcosa, dopo ne sono certa, saremo migliori”.