Voodoo, Cajun e Jazz: la triade vincente di New Orleans

Tra magia, jambalaya e il ritmo scatenato del jazz, si snoda la seconda puntata del reportage di Giulia Salmaso da New Orleans (LA).

New Orleans è una città che nella sua storia ha avuto un ruolo da “trend setter”, come lo definirebbero i markettari di oggi. Un tempo – oggi certamente molto meno – era qui che si creava cultura e il resto del mondo non poteva che abbeverarsi. Tre gli aspetti fondamentali che ancora si possono autenticamente vivere e riscoprire nella città del Big Easy.

La magia, per esempio. Quella materica del voodoo che è diventata una seconda pelle per New Orleans dove generazioni di voodoo queen (e king) hanno elargito sortilegi tra i bayou in umide notti di luna piena. La più famosa fu Marie Laveau, che si dice potesse creare zombie e il cui corpo riposa ora senza vita (forse) in uno dei cimiteri della città. Cimiteri che si sviluppano in altezza, poiché il sottosuolo è troppo zeppo di acqua per ospitare cadaveri. Morte, un concetto che a New Orleans è superato a favore di quelle dimensioni un po’ sospese, a metà tra ciò che è e ciò che non è. Gris-gris, talismani, amuleti, collane di perline colorate e gli onnipresenti chiromanti ad ogni angolo, fanno perdere il senso dell’oggi e proiettano verso un passato fatto di gitani, pirati, gonne larghe, sole e mistero. Nemmeno Salem (MA), che pure di streghe ne ha avute abbastanza, può essere considerata capitale morale dell’esoterismo americano tanto quanto New Orleans. Tour fantasmatici, negozi di pozioni ed esperienze voodoo sono a portata di ognuno ma non confondete l’offerta turistica, spesso ciabattona, con le vere credenze religiose vissute dai locali che, pur paragonabili a velleità new age, hanno in realtà radici storiche nel sistema dei valori di origine Dahomey, Haitiano e cattolico.

Ma se di unicità bisogna parlare, è sicuramente il cibo che la fa da padrone. E’ infatti in cucina che le culture africane, caraibiche, europee e americane si sono fuse in un mix unico conosciuto col nome di “cajun”. Spezie, verdure fresche, crostacei e marinature sono la base di una cucina molto rustica che ha origini nella campagna francese, con qualche incursione in Portogallo, Spagna, Italia e Africa occidentale. Tutto si mescola nei piatti cajun, caratterizzati soprattutto dalla presenza del peperoncino, dall’importanza del riso, e dall’introduzione dei fagioli. Ma se i piatti “cajun” sono i più popolari, è la versione “creola” degli stessi che veniva servita negli eleganti saloni della nobiltà di New Orleans. Gumbo, jambalaya, ostriche fritte, torta di granchio, beignet e pain perdu i nomi più famosi che oggi come un tempo spopolano nei menu di qualsiasi ristorante locale. Segnalo per i più attenti anche la miscela di caffè di cicoria, sostitutivo del caffè regolare ma più aspro e inoffensivo che, allungato col latte ed accompagnato dai zuccheratissimi beignet, costituisce l’ultimo rimasuglio della colazione all’europea nel continente americano. Una visita al “Cafè du Monde”, nel cuore del Quartiere Francese, per quanto scontata e super turistica, basta e avanza per togliersi la curiosità a riguardo. Ai golosi italiani consiglio di risparmiare un po’ di posto per una “muffuletta” (un panino con sottoli, affettati e provola) e onorare le tradizioni italo-neworleanensi che hanno contribuito a fare la Storia culinaria della città (di pari passo con la storia criminale).

Una volta accontentata la gola, New Orleans dà il meglio di sé. Lo fa con la musica perché qui, più che mai, le note sono state sinonimo di libertà. Negli ultimi scampoli del 19° secolo, mentre il resto degli Stati Uniti batteva i piedi al ritmo di marce militari, New Orleans era l’unico posto nel Nuovo Mondo in cui agli schiavi di colore era permesso possedere dei tamburi. I rituali voodoo erano apertamente tollerati e partecipati da ricchi, poveri, bianchi e neri. E fu proprio qui che lo squillo di una tromba (europea) si incontrò, per caso o per magia, con il cupo suono dei tamburi africani. Fu come quando il tuono incontra il fulmine. A poco a poco si creò un suono singolare, che si poteva sentire nelle chiese, tra le case, nelle osterie. Non era nulla di simile a quanto ascoltato prima di allora. Ma il suo ritmo era selvaggio, imprevedibile e allegro. Faceva sentire liberi e vivi. Fu la nascita della vera tradizione della musica Americana, o, se volete, del jazz. Nonostante gli storici concordino dove, come e quando nacque il jazz, non è ben chiaro quale artista gli diede i natali. Buddy Bolden? Original Dixieland Jazz Band? Louis “Papa” Tio? Oggi come oggi la risposta non è importante. Quello che conta è lasciarsi trasportare alla confusione musicale che ancora si può respirare a New Orleans. Magari mentre si sorseggia uno dei numerosi cocktail che si dice siano stati inventati qui. Ma questa è un’altra storia.

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