Un breve reportage in una delle città più discusse d’America che 13 anni dopo Katrina fatica a ritrovare se stessa.
Tennessee Williams aveva una chiara visione di cosa sono gli Stati Uniti. “L’America”, diceva, “ha solo tre città: New York, San Francisco e New Orleans. Tutto il resto è Cleveland.” Anche se sono passati circa 70 anni da quando il celebre poeta, drammaturgo e scrittore ha pronunciato questa frase, chi ha girato un po’ l’America – o chi ci vive, come capita a me – non può non riconoscerne la profonda verità. Ci sono luoghi che, con la loro regolarità, potrebbero riempire gli scaffali di un supermercato. Altri che, semplicemente, non stanno nei canoni.
New Orleans è uno di questi.
Anche l’approssimarsi alla città non è ordinario, se la raggiungete in macchina: chilometri e chilometri di strada sospesa su un’immensa laguna che vi circonda da ogni parte con i suoi alberi spettrali e l’acqua ferma. Sono gli “swamps”, dove zanzare, alligatori e uomini cercano ogni giorno una convivenza pacifica. Poi piano piano si insinuano dei quartieri. Prima a destra, poi a sinistra. Poi arriva di colpo la città, come sorta dalle acque. E di liquido, New Orleans, ha tutto. A partire dalla sua relazione con l’acqua: odio e amore che si combattono in una lotta perenne tra la distruzione e l’unicità, in un impossibile equilibrio tra l’uragano Katrina e una Venezia americana. Il Mississippi la divide in due ma il delta acquitrinoso la spezza in ulteriori frammenti. Di questi, solo il Quartiere Francese – e forse il Garden District – sono noti ai più. E anche se New Orleans vale ben di più della somma dei suoi quartieri, di certo ognuno di loro ben rappresenta lo spirito della città.
Nell’immaginario nazional-popolare americano tale spirito è rappresentato dal Carnevale o, come lo chiamano qui, il “Mardi Gras” (martedì grasso in francese). I colori, la musica, la gioia ma anche l’eccesso, l’ambiguità e la confusione fanno parte di New Orleans ogni giorno dell’anno, non solo a carnevale, quando la città si sfoga in strepitose parate. Concerti spontanei ad ogni angolo, impromptu musicali per la strada (scortati dalla polizia), costumi, parrucche, luci e follie sono la regola. Alcool e droga sono invece le eccezioni che sono diventate una regola.
Dal 2010, New Orleans ha raggiunto la poco invidiabile cifra di 173 omicidi e 544 vittime di sparatorie ogni anno. Nonostante episodi di piccola criminalità siano in calo nell’ultimo anno, l’esercito di senza tetto, ubriachi e personaggi in evidente stato confusionale che affollano – e qui purtroppo il verbo non è scelto a caso – strade e vicoli costituiscono un biglietto da visita molto discutibile. Epicentro della sbronza cosmica che sembra affliggere ogni singolo avventore del centro di New Orleans è Bourbon Street, da oltre un secolo simbolo del vizio e del malaffare. I fasti proibiti del passato sono però, appunto, andati e niente li ha sostituiti se non alcool a buon mercato e senza alcuna regola. Resta la musica, forse, e nell’aria il poco piacevole odore di fluidi corporei.
Del resto, come tutte le città che hanno un passato degno di questo nome, New Orleans vive di contrasti. Anzi, ha costruito la sua Storia sulle differenze che nel corso dei secoli si sono succedute tra le strade della città: prima la dominazione francese, poi quella spagnola, poi quella americana e, in mezzo, le radici africane e caraibiche della popolazione di colore. Non sempre il matrimonio tra queste cultura è stato pacifico o proficuo, ma di certo ha segnato questo luogo in modo difficilmente categorizzatile e anzi generando, semmai, aspetti prima inesistenti.
Quali? Li scoprirete nella seconda parte del reportage.