Scrollo di dosso la cupa atmosfera di una settimana infernale, affondando il piede sull’acceleratore mentre seguo i cartelli che puntano in una direzione precisa che si allontana progressivamente dal trambusto cittadino del weekend.
Ho bisogno di quiete per disintossicarmi e riconnettermi alle cose semplici e importanti che rimangono sempre in secondo piano quando ti ostini a non trovare tempo da dedicargli.
Il paesaggio muta davanti ai miei occhi, restituendomi l’immagine di un borgo fortificato abbarbicato su una collina che mi chiama a sé, invitandomi a rallentare per godere appieno della meraviglia che già mi circonda.
Giunto sul posto, percorro un sentiero ciottoloso che costeggia la chiesa, assecondando la spirale di case che mi accompagnano dolcemente verso un luogo prominente racchiuso – come tutto da questa parti- tra i merli gentili delle mura medievali che avvolgono Soave in un abbraccio sincero.
Quattro chiacchiere con le persone del cuore e tu mi tieni la mano mentre il sole chiude la curva dietro la collina, inondando i vigneti che abbracciano questo borgo incantato da ogni lato.
La vegetazione rigogliosa e posata del contado circostante si disvela gradualmente mentre passeggio immerso in conversazioni gioiose con coloro che mi sono cari e camminano al mio fianco in questo viaggio magnifico che mi ha portato da te in una sera di quasi estate, Soave.
Soffermandomi con gli occhi sugli ultimi raggi che muoiono tra i cipressi apparsi, quasi per magia, ai margini del mio campo visivo, avverto nella brezza che mi scompiglia i capelli, il respiro leggero di una vita che mi invita a sorridere di un giorno che è diverso da ogni altro.
I lampioni prendono vita quando cala la sera e le ombre si allungano, ma in un modo gentile, che non opprime.
I colori pastosi delle case che danno sul corso principale, divengono più vividi quando le enoteche si illuminano e sistemano i tavolini giù in strada, spandendo nel mondo la fragranza gentile dei vini di queste terre che sussurrano curiosità irrimandabili ai palati di chi si trova a camminare per le tue strade quando è ora di cena.
Il suono del vino che riempie i bicchieri si mischia presto alle risate rilassate delle persone che, timide, si riaffacciano in punta di piedi alla vita dopo mesi difficili.
Le parole si accavallano trasformandosi in un brusio che ci lasciamo alle spalle cercando il nostro angolo di quiete.
Infiliamo le giacche quando la brezza fresca che sale da fondovalle si intrufola fin dentro alle giunture, costringendoci a rabbrividire.
Non ce ne andiamo però, non ancora.
Di cose da dire ne rimangono molte, continuiamo a parlare fino a che i rumori lontani svaniscono e la quiete naturale di questo posto torna a benedire anche noi con la grazia che gli è propria.
Riecheggiano nel vuoto i nostri passi quando usciamo dalla porta, sciogliendo d’improvviso l’abbraccio caloroso con cui ci hai protetto fino a quell’istante.
Il vento fuori è più intenso e le mura, illuminate dal basso, sorridono ancora ma ci guardano adesso con austero rispetto, memori del ruolo difensivo che gli fu conferito secoli addietro quando altri pensieri, altri sognatori vagavano per queste terre.
Gli amici se ne vanno, agitiamo freneticamente le mani nel parcheggio sotto le mura, illuminati dalla luce asettica di un lampione dall’aspetto volutamente antico.
Io ti guardo, gli occhi brillano come stelle mentre mi abbracci e quell’attimo, a Soave, non l’ho più dimenticato.