Di te, Mantova, mi sono innamorato da bambino, in un giorno d’estate, seguendo il volo di un aquilone sfuggito di mano a qualcuno sulla sponda del Mincio.
Mia madre mi osserva correr dietro ad alcuni piccioni raggruppati in mezzo alla piazza per beccare i resti di un panino abbandonato mentre mio padre alza gli occhi verso i merli importanti di Palazzo Ducale in Piazza Sordello.
Il vento volta le pagine della vita e gli anni corrono via come capitoli fitti e ricchi di storie da ricordare.
Sono passati quasi vent’anni da quel giorno e la vista di Castel San Giorgio, carezzato dal sole tiepido del primo pomeriggio riaccende in me la memoria di sensazioni lontane, mai del tutto perdute.
In Piazza Sordello ritrovo intatta la mia ombra lasciata su quello stesso selciato, due decadi addietro.
Confrontandola a quella di adesso la trovo ridicolmente corta, ma è lei, la riconosco.
Le ombre comunque, si allungano sempre più mano mano che ci si avvia verso il crepuscolo.
Con la coda dell’occhio scorgo la biglietteria, c’è poca gente in giro, ne approfitto.
La camera degli Sposi è deserta a quest’ora, Mantegna oggi è tutto per me.
La maestria della sua straordinaria pittura fonde arte e poesia nell’oculo che sfonda con delicatezza il soffitto del castello, regalando a quella stanza, silenziosa e solenne, la luce eterea del cielo di Mantova.
I colori diventano emozioni che lascio fluire liberamente prima di muovere il primo passo verso le scale e tornare nel mondo.
Sei sempre stata speciale per me Mantova ma, quanto, dovevo ancora capirlo.
Febbraio, un sabato spento e piovoso.
Castel San Giorgio affiora dalla nebbia che tiene prigioniero un mondo freddo e inospitale.
I respiri sono batuffoli d’aria che si dissolvono nella pioggia, e i tuoi occhi sono braci ardenti che divampano nei miei.
Cosa si prova ad amarsi?
Io lo so Mantova e adesso, lo sai anche tu.
Di sera, i lampioni del centro, ci scortano fino a Sant’Andrea.
Alcune rondini sfrecciano imprendibili nel rosso del crepuscolo piroettando attorno al campanile e alcuni giovani, in sella a bici d’altri tempi, si infilano in un vicolo che basta appena per una persona.
Camminano lente le persone a Mantova, riprendendosi un po’ del tempo che ci strappano dalla vita senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Le zanzare che ti assalgono ad ogni ora del giorno e della notte hanno le dimensioni dei battelli carichi di turisti che solcano le calme acque del Mincio ma qualche difetto, alla fine, ce l’hanno tutti e questo, nonostante il fastidio, te lo perdono volentieri.
La notte ci coglie nei pressi di Palazzo Té.
I giganti di Giorgio Romano riprendono fiato sulle pareti silenziose in attesa della prossima orda di cacciatori di meraviglie armati di chiasso e macchine fotografiche e una falce di luna si intravede già oltre le chiome mosse dal vento degli alberi del parco.
Un brivido caldo si intrufola sotto la pelle, lo riconosco.
È il tuo tocco inconfondibile Mantova.