Oggi vi raccontiamo una bella storia che unisce amore, inclusione e spirito imprenditoriale. Per questo abbiamo incontrato Antonio Rossi, il responsabile pisano dell’Associazione “I bambini delle fate”, l’impresa sociale che si occupa dell’inclusione di persone svantaggiate creata nel 2005 dall’imprenditore veneto Franco Antonello, diventato ormai un personaggio pubblico molto amato insieme al figlio Andrea (alla loro storia è ispirato il romanzo “Se ti abbraccio non aver paura”, di Fulvio Ervas, e il film di Gabriele Salvatores, “Tutto il mio folle amore“).
Antonio lo abbiamo incontrato presso un’azienda agricola di Vicopisano, “Il Frantoio”, un piccolo gioiello incastonato sui Monti Pisani, dove coordina un progetto di inserimento di ragazzi autistici nel mondo del lavoro presentato da un’altra associazione, l’ APS “ORAPERDOPODINOI”. A Vicopisano, nel frantoio più antico della zona non si lavora solo nell’orticoltura, ma si coltivano anche kiwi, si produce il vino, insomma c’è un ambiente che consente di lavorare serenamente, all’aria aperta, in gruppo, coniugando fatica e divertimento. I ragazzi coinvolti sono una quindicina. Cominciamo qui la nostra chiacchierata con Antonio.
“Abbiamo sostenuto questo progetto – spiega Rossi – seguendo il principio che ci ha portato a sostenere tutti gli altri: se un’associazione che vuole portare avanti un progetto serio dovesse vivere di carità e di elemosina molto probabilmente non potrebbe organizzarsi come si organizza un’impresa”.
Come in altri casi analoghi, Antonio e il suo staff, sono andati dalle aziende, hanno raccontato loro il progetto, le hanno convinte e hanno fatto in modo che versassero una cifra mensile e costante, in modo da consentire una pianificazione su larga scala. Attualmente le aziende che stanno finanziando questo progetto sono 44.
Perché questa adesione?, gli chiediamo.
“Forse perché siamo riusciti – risponde Antonio Rossi – a far capire una cosa straordinaria. Abbiamo visto che mettere insieme dei ragazzi maggiorenni, sia pure con dei problemi, a fare un lavoro comune, quindi realizzato per un’attività che li accomuna, fa sì che ciascuno diventi complementare al proprio compagno. Si arriva addirittura a sopperire, reciprocamente, alle mancanze dei compagni livellando le rispettive estrosità”.
In realtà questo è solo l’inizio della nostra storia, perché ogni esperienza è un viaggio che genera nuove scoperte, nuove esigenze, nuove domande. E così succede grazie ad Antonio, che, tra i vari scenari possibili del suo mondo straordinario, non tralascia nemmeno lo sport. Scava scava, Antonio trova una disciplina che va benissimo anche per le persone con autismo: si tratta del baskin, o basket integrato, che mette in campo giocatori normodotati e giocatori con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale, purché consenta il tiro a canestro). Viene così creata una squadra che si chiama “Angeli con un’ala”, formata da ragazzi autistici, down, paraplegici, tetraplegici, cerebrolesi e normodotati. maschi e femmine, che giocano insieme contemporaneamente.
Ma non c’è due senza tre, e dopo il lavoro agricolo e lo sport, Antonio e il suo team lanciano una grande idea imprenditoriale. Così ce la racconta Rossi. “Abbiamo scoperto che il mondo ragiona in questo modo. Il disabile deve adattarsi allo sport e non è lo sport che si adatta al disabile, il disabile deve adattarsi al lavoro e non il lavoro che si adatta al disabile. Ma poiché avevamo trovato una disciplina sportiva che si adattava alla disabilità, perché non provare a farlo anche nel mondo del lavoro? Perché non fare un’attività lavorativa che si adatta ad essere praticata da qualunque forma e qualunque livello di disabilità e che al contempo potesse consentire a queste persone di lavorare insieme?”
Resta da stabilire il “cosa” fare. Il lavoro agricolo, come quello praticato al “Frantoio”, dove i ragazzi autistici si dedicano all’olivocoltura, ha un immenso valore sociale e serve tantissimo a far respirare la mente dei ragazzi, ma non è adatto a una dimensione aziendale (“Lei vede che là sul poggio c’è una persona con la sedia a rotelle, non è certamente la situazione adatta”, mi dice mentre siamo ospiti di questa realtà per raccontarla). Così come sbagliato, per un altro motivo, sarebbe creare piattini di ceramica oppure cestini da vendere ai mercatini e continuare a muoversi nell’ambito, pericolosissimo, del pietismo. La dimensione aziendale significa che una cosa interessa al mercato non perché è fatta da un disabile ma perché è qualche cosa, fatta dai disabili, di utile.
E allora? “E allora – argomenta serafico il buon Rossi – abbiamo pensato a qualche cosa di nuovo, che ad oggi non esiste, destinato a sostituire uno dei prodotti meno appariscenti che esiste al mondo e di cui vengono prodotti un miliardo e mezzo di pezzi al giorno. Il cotton fioc! Quella cosa che una volta usata non si sa in quale pattumiera infilare, che può sfondare il padiglione auricolare, che è antiestetica ecc. Ma che però ha una funzione. Va trovato un qualcosa con cui sostituirlo, e da subito abbiamo pensato alla carta igienica fatta a cono. Ci siamo messi a vedere se era possibile produrre dei coni di carta igienica, abbiamo parlato di quest’idea a un’azienda di Bologna, che si chiama Pulsar azienda e costruisce macchine per la Carta Regina, la quale ha apprezzato l’idea e si è offerta di pensare, studiare, inventare e fabbricare la macchina per produrre i coni. Altre aziende si sono offerte di svolgere altre fasi, come quella distributiva. La cosa importante è che a breve ci sarà la prima fabbrica al mondo pensata esclusivamente per manodopera disabile. E per quanto riguarda la sede stiamo tentando di parlare con la Piaggio per utilizzare alcuni suoi spazi a Pontedera, ma ovviamente non ci precludiamo alcuna strada”.
Tanti sono gli aspetti da considerare, a cominciare dalla logistica, dalla organizzazione dei luoghi e dei turni di lavoro, dalle forme di produzione, dal sistema di vendita.
Ma se l’entusiasmo è un combustibile primario della vita, ricaviamo l’impressione che il viaggio abbia ottime possibilità di arrivare all’approdo desiderato.
Con un punto fermo: i disabili sono ragazzi che vogliono essere trattati come tutti gli altri.