Storie di Ordinaria Quarantena (7). Andrea, a casa analizzando il mondo e il nostro “dopoguerra”

Oggi lasciamo la parola ad Andrea Panocchia, giornalista, ufficio stampa e comunicatore anche in ambito politico. Già nel team de L’Ordinario, lo abbiamo intervistato per avere uno sguardo globale su quello che sta accadendo. Ecco che cosa ci dice.

Andrea, tu che per lavoro sei abituato da sempre a leggere i fenomeni sociali (anche degli altri Paesi) e la politica, come hai analizzato l’arrivo del Corona Virus?

“Il Corona Virus è stato da tutti, all’inizio, sottovalutato e minimizzato.

Se non si trattasse di una cosa tragica, ci sarebbe da ridere nel vedere le giravolte, sul tema, di tutti i principali esponenti della politica italiana. E anche come, quando il virus è arrivato in Italia, a chi, come Burioni, poneva dubbi su alcune strategie di contenimento nei confronti di chi veniva dalla Cina, fossero anche svedesi, alcuni governatori abbiano risposto con epiteti ingiuriosi e paventando il razzismo”.

Quanto alle origini, se ne leggono di tutti i colori, perché il complottismo va a nozze in vicende come queste, ma a me paiono evidenti le responsabilità del governo cinese nella copertura delle prime voci sulla diffusione e nei ritardi in termini di contenimento dell’epidemia, con trattamenti “poco simpatici”, essendo quello un regime non particolarmente attento ai diritti umani, nei confronti di chi denunciava alcune cose. Poi, è vero, sono riusciti, con un’organizzazione militare, quasi a sradicare il virus e oggi in Italia vengono applauditi da tutti perché ci mandano medici e attrezzature. Da italiano ringrazio anch’io ma non dimentico”.

Nel tempo hai cambiato idea?

“Non ho cambiato idea. L’hanno cambiata, e in parte comprensibilmente, molti governi, che stanno adesso, quasi tutti, convergendo sulla soluzione di chiusura pressoché totale adottata dall’Italia, inclusi gli Stati Uniti, che stanno anche buttando denaro pubblico nella sfida, pur avendo una filosofia più privatistica. Della Cina abbiamo detto, la Corea del Sud ha puntato sulla tecnologia, Gran Bretagna e Olanda stanno provando, vedremo con quale successo, a misure specifiche di contenimento e non al blocco totale dell’economia. Mentre scrivo, sembra rientrata l’ipotesi di puntare sull’immunità di gregge, inizialmente attribuita a Boris Johnson”.

Quanto pensi che durerà e che conseguenze avrà sull’economia, sull’Italia e sull’Europa?

“Se manteniamo una certa disciplina non durerà moltissimo, ma – passata l’emergenza sanitaria – si aprirà la questione economica, che a molti sta già presentando il conto. Per ripartire servirà un grande sforzo corale, come quello che ci risollevò dopo la Seconda Guerra Mondiale, portandoci a essere una delle economie più progredite dell’Occidente. Per restare al paragone, però, allora fu decisivo il Piano Marshall degli Stati Uniti. Dovrebbe accadere qualcosa di analogo, con la differenza che più il virus è globale e più sarà difficile trovare qualcuno dei grandi in grado di aiutare gli altri. La Cina potrebbe avere un interesse geopolitico a farlo, visto anche l’accordo stipulato col governo italiano, prima della crisi, e ribattezzato la nuova Via della Seta.

O magari Israele, che è piccola ma su tanti settori è anni luce avanti a tutti e che, oltre ad aver evitato contagi estesi, a quanto si dice è vicina al vaccino più di altri.

Quanto all’Unione Europea, penso che questa vicenda ne abbia sancito la fine sostanziale, se non formale, e l’epitaffio lo hanno scritto le parole di Christine Lagarde. Senza contare che le strategie di contenimento al momento vincenti sono quelle che hanno privilegiato i blocchi e che quindi, in qualche modo, hanno enfatizzato l’importanza di confini e frontiere, e quindi il ritorno dell’idea di Nazione”.

Tu sei uno dei tanti liberi professioni a partita iva. Hai già perso dei lavori a causa dell’emergenza? Sei preoccupato? Come sempre saremo i dimenticati da tutti o credi sia verosimile che il governo questa volta non ci possa ignorare?

“Per ora non ho perso lavori, ma la possibilità è sempre dietro l’angolo, perché tutti, compresi i nostri committenti, come minimo, avranno problemi di liquidità; ma soprattutto, la crisi ci impedisce di cercarne altri, di lavori. La preoccupazione, anche per la possibile disattenzione del Governo, c’è ed è grande; e l’unica speranza, paradossalmente, risiede nella vastità della crisi, cioè nel fatto che, per motivi diversi, mai come in questa tragedia tutti ci troviamo sulla stessa barca. E, dopo i sacrifici che stiamo facendo, il non tener conto di questo rischierebbe di far trovare a Conte i forconi sotto Palazzo Chigi”.

Sei sempre chiuso in casa? Come stai vivendo questi giorni?

“Mi sposto, come tutti, per lo stretto necessario, poi sto in casa, dove un po’ di lavoro riesco a svolgerlo, e cerco di riempire il tempo libero leggendo e parlando al telefono o via Skype con amici o parenti.

Ovviamente seguo con estrema attenzione l’informazione su social e in tv, ma cerco di non stare 24 ore al giorno incollato ai canali all news. Produrrebbe solo stress in un periodo in cui servono anche, e più che mai, leggerezza e intrattenimento”.

Hai voglia di dire qualcosa, lanciare un messaggio a chi ci legge?

Apprezzo la creatività di chi canta ai balconi, il patriottismo di chi espone i tricolori, la speranza di chi dice “andrà tutto bene”; anche se sono espressioni e comportamenti che possono scivolare nella retorica, dimostrano che gli italiani, sottoposti a uno sforzo per ora senza pari in Europa, non hanno perso spirito, inventiva, voglia di stare insieme, anche se a distanza.

Una cosa che all’inizio invece non mi è piaciuta, e che ora per fortuna è superata dall’inasprimento delle restrizioni, è stata la discussione surreale sulle stazioni sciistiche affollate, sui ristoranti pieni, sui litorali affollati. Basta chiuderli e la gente non ci va, punto. Invece in Italia prevale il concetto: “Guarda, lo puoi fare, lì è aperto, ma sarebbe meglio di no…”.

Detto questo, io credo che la cosa più difficile, ma anche la più produttiva, sia quella di dare sì il proprio contributo allo sforzo in atto, aderendo in maniera disciplinata alle direttive, ma senza perdere la propria capacità di pensare, di informarsi autonomamente e, quando se ne è convinti, di dissentire. Le differenze adesso non vanno enfatizzate ma nemmeno messe da parte. Altrimenti ci sarà il rischio di ritrovarsi, anche a crisi finita, in una società prona all’ubbidienza acritica verso il Governo o incarognita al punto di considerare un traditore della Patria, o addirittura di denunciare, chi magari ha postato sui social una considerazione critica verso il blocco totale (non è il mio caso, beninteso).

Come dire, pensiamo a salvarci ma attrezziamoci a pensare che dopo dovremo riprendere a vivere. Con i nostri pregi e i nostri difetti.

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