Oggi vi raccontiamo la straordinaria storia di una pagnotta di pane che, per giungere fino a noi, ha resistito ben 2.000 anni. Sembra impossibile, visto il materiale di cui è fatta, facilmente deteriorabile, ma a quanto pare non è così. Andiamo con ordine.
Nel 2017, a Forlì, e precisamente in Piazzale della Vittoria, durante alcuni scavi effettuati da Hera per la realizzazione della rete di teleriscaldamento, vengono scoperti e recuperati reperti archeologici di grande interesse: l’antica via Emilia e una necropoli romana che ha restituito 23 sepolture e arredi funebri, di cui 21 cremazioni (14 dirette e 7 indirette) caratterizzate da varie tipologie tombali (fossa semplice, a pozzetto, in cassetta laterizia o copertura alla “capuccina”) e due inumazioni (una in fossa semplice e una a “cappuccina”). Ed è qui che compare la pagnotta. Una prima analisi del materiale di corredo delle sepolture scavate, ha permesso di collocare la frequentazione dell’area funeraria fra il I sec. a.C. e l’inizio del II sec. d.C.
“La pagnotta è stata rinvenuta dentro una delle sepolture – ci spiega Mirko Traversari, Physical anthropologist all’università di Bologna e coordinatore dello staff che sta studiando il reperto – era posizionata a terra, assieme a quelli che probabilmente erano altri elementi di corredo: è stata infatti rinvenuta in stretta adesione a quello che sembra essere il piede di un bicchiere in vetro”.
Una volta rinvenuta, la pagnotta finisce sotto esame come “paziente speciale” all’ Ospedale Morgagni – Pierantoni di Forlì, nel reparto di Radiologia. La struttura sanitaria ha infatti da tempo consolidato la sua esperienza nel campo paleoradiologico, in accordo con la Sopraintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio romagnola. E lì rimane diversi mesi.
Dopo mesi di studi, il 4 ottobre 2019, pochi giorni fa, al Campus di Forlì – Università di Bologna, vengono finalmente svelati i primi risultati preliminari durante un incontro aperto al pubblico. Ed ecco che cosa riusciamo a sapere di questa incredibile conservazione.
“Si tratta di una tipologia di rinvenimento molto raro – commenta riferendosi alla pagnotta la dott.ssa Romina Pirraglia, funzionario archeologo che ha supervisionato le operazioni – per questo è stato necessario acquisire più informazioni possibili, anche sulla struttura interna della forma di pane, per meglio orientare le future operazioni di restauro e consolidamento. Le immagini digitali potranno inoltre servire per produrre modelli tridimensionali del prezioso ritrovamento”.
“In accordo con la Soprintendenza, abbiamo effettuati alcuni microprelievi – completa il dott. Mirko Traversari, coordinatore delle operazioni – che saranno destinati a future indagini chimico fisiche per meglio comprendere la composizione interna della pagnotta. Il reperto si è conservato grazie alla retrogradazione dell’amido e la pagnotta era lievitata e poteva essere tranquillamente mangiata. La presenza di composti del silicio ha permesso di formulare tre ipotesi: impiego di un cerale con un alto contenuto di questo elemento, come il sorgo, il miglio o l’orzo; la presenza di argilla penetrata nel pane a causa della permanenza nella tomba; l’aggiunta di argilla all’impasto.”
Non sappiamo a voi, ma a noi la storia di questa pagnotta sta appassionando molto e siamo sicuri che regalerà sicuramente nuove importanti scoperte.Ci terremo aggiornati!