A differenza del grossetano Luciano Bianciardi, che a Milano si trovò male e che vi fece andare il protagonista del suo romanzo principale, La vita agra, a far saltare in aria, per vendetta, la sede di un’azienda mineraria, Alessio Barnini (livornese) e Alessandro Aglietti (fiorentino) nella capitale del Nord ci si trovano benissimo. Ci vivono, ci lavorano e hanno trovato le idee, fra uno sfottò campanilistico e l’altro, per scrivere un libro pionieristico.
Sembrano usciti da Matrix, e tendono a parlare come quei geni in erba, o forse già affermati, della Silicon Valley magistralmente ritratti da Shelly King in Tutta colpa di un libro. E si occupano della versione moderna dello “sterco del diavolo”, il vil danaro, o la criptovaluta: i bitcoins.
“Bitcoin dalla teoria alla pratica” è un libro particolare intanto perché è stampato da Amazon. Poi perché è un librone per addetti ai lavori o iniziati all’informatica, ragion per cui Alessio e Alessandro lo accompagnano con un “bignamino”, Bitcoin 199 domande, col quale provano a rendere i loro concetti comprensibili anche per la casalinga di Voghera (all’inizio le domande dovevano essere 155 ma non sarebbero state esaustive). Quindi perché è uno dei primi libri scritti in italiano sull’argomento. E infine perché non sono analisti finanziari e non consigliano o sconsigliano investimenti più o meno onerosi, bensì spiegano come funziona tecnicamente il protocollo Bitcoin, cercando di servirsi di esempi concreti e di spiegare l’impatto sulla società della più grande
rivoluzione dei pagamenti.
Alessio fa lo sviluppatore web da oltre 15 anni, e vive a Milano, dove è arrivato, dopo aver lavorato a Roma e in Toscana, grazie a un progetto per Expo 2015 sviluppato da Siemens: un progetto, che lui definisce “fantastico”, di Internet of Things che riguardava il controllo del consumo energetico ai vari padiglioni dell’Expo. Certo, venendo da Livorno all’inizio gli mancava, come a tutti i labronici “in trasferta”, il mare per almeno otto mesi all’anno. Ma, dopo le prime inevitabili difficoltà di adattamento, ha capito che nel capoluogo lombardo si respirava un’energia diversa, tipica delle grandi città europee, e che il futuro era a portata di mano, bastava coglierlo. A Milano è entrato come consulente in Brumbrum – ecommerce che si occupa della vendita di auto usate e a km 0 e del noleggio a lungo termine per privati, all’epoca start up, oggi realtà consolidata – e lì ha conosciuto Alessandro, divenendone presto amico. Alessio, sempre mosso dalla passione per gli studi di programmazione web, ma da autodidatta, con un titolo di studio di ragioniere, perito commerciale e programmatore, ha ben presto trasformato una passione in lavoro. Adesso, dopo essere rimasto contagiato dalla passione per Bitcoin, lavora presso un’ azienda di Prato, Bitminer Factory ( bitminerfactory.com ), che ha aperto una sede a Milano; il suo compito è quello di costruire mining farm (il miner, o minatore, in gergo è colui che “estrae”, cioè ricava i bitcoins dalla rete) e di vendere la potenza di calcolo a clienti che vogliono “minare” i bitcoins. I proprietari, la famiglia Angeli, sono costruttori di impianti energetici e sono esperti di efficientamento del consumo energetico, che nel mining è tanto perché, per svolgerlo, si utilizza principalmente energia elettrica.
Ma, senza l’Aglietti, questa passione, al Barnini, non sarebbe mai nata. Come detto, si sono conociuti a Brumbrum (Alessandro era giunto in Lombardia nel 2012 al seguito della compagna, dopo esperienze professionali a Sesto Fiorentino e a Bologna, e dove Alessio lo avrebbe raggiunto cinque mesi dopo dall’avvio di brumbrum avvenuto in aprile 2016) e la toscanità li ha uniti e resi simpatici ai
colleghi di lavoro e all’ambiente milanese. Neanche Alessandro ha un particolare palmares accademico, perché dopo il diploma all’ITI ha iniziato Ingegneria Informatica all’Università di Firenze ma l’ha lasciata prima del termine al primo anno perché ha trovato lavoro nel settore web e da lì non si è più fermato.
Galeotto fu il 2016 e la Bitcoin community di Milano. Ogni quattro anni, ad agosto, gli appassionati della criptovaluta più famosa organizzano un evento planetario, Halving party, o dimezzazione, in pratica un aggiornamento in diretta del sistema. E siccome è un momento preciso nel tempo, tutto il mondo si sincronizza su quell’istante esatto. Così ce lo racconta Alessandro: “A Milano avevano organizzato un evento in Parco Sempione, con un aperitivo, e lì ho scoperto che la community di Milano era molto attiva e propositiva, vivace, con persone simpatiche; avevo già letto qualcosa sull’argomento ma ne sapevo poco e allora pensai di approfondire meglio la cosa, iniziando a studiarla metodologicamente. E ne ho iniziato a parlarne in ufficio, ovviamente con Alessio”.
I due all’inizio si sono appassionati ma attingendo informazioni da fonti diverse, per poi confrontarle. In quel momento i bit cominciano a diventare mainstream, con tanto di grandi servizi sul Tg5 e a Le Iene. A tal proposito ci dice Barnini: “La quotazione allora era molto alta, c’era una specie di febbre. Dopodiché c’è stata una discesa del prezzo e tutti se ne sono disinnamorati; in realtà noi paradossalmente ci siamo innamorati della tecnologia proprio allora. Volevamo effettivamente capire come una tecnologia potesse arrivare in così breve tempo a un prezzo così alto, e ci siamo messi a studiare dei libri di riferimento, in particolar modo Mastering Bitcoin di Andreas M. Antonopoulos, che è la Bibbia del settore. Però ci siamo resi un po’ conto che era molto teorico e molto ben fatto ma non scendeva nei particolari tecnici che piacciono a noi e che ci fanno capire a 360° la tecnologia stessa. Essendo programmatori volevamo provare di persona cosa succede se cambiamo un minimo parametro, che risposte otteniamo dalla rete e dal protocollo stesso se facciamo delle prove che non vengono fatte da terzi, e così via”.
Ad affascinare veramente la strana coppia etrusca è stato però, in particolare, il sistema peer-to-peer, il principio della rete paritaria, il mondo misterioso della rete informatica in cui i computer degli utenti connessi fungono al contempo da client e da server. Ma Bitcoin conteneva un intrigante elemento di novità, così spiegato da Alessandro: “I sistemi peer-to-peer visti sin ora, antecedenti a Bitcoin, optano per un approccio dove non c’è un attore centrale da pagare/sostenere per stare in funzione ma tutti fanno la loro parte. Questo è un pregio per chi partecipa a questo tipo di reti, però porta con sé un difetto o un problema o una caratteristica che non sempre è positiva, ovvero che se la gente non ne fa più parte il sistema muore. Invece Bitcoin è pensato in modo tale che non solo la gente debba partecipare ma è anche incentivata a partecipare, perché ha un interesse economico. In particolar modo questo interesse lo hanno i cosiddetti minatori di bitcoins. Ciò vuol dire che abbiamo in funzione un sistema che è distribuito e allo stesso tempo porta con sé delle caratteristiche che gli permettono di vivere nel lungo periodo. Perché per morire questo incentivo dovrebbe scendere ma, in realtà, gli ultimi otto anni ci dimostrano che questo incentivo invece cresce molto nel tempo, e per vari motivi. E quindi si ha un sistema circolare dove ogni attore fa la sua parte per permettere a chiunque di utilizzarlo”.
Alessandro continua a lavorare in brumbrum come sviluppatore web, però si è messo in luce come esperto di Bitcoin grazie al libro, e adesso ha anche l’ambizione di creare un sistema peer-to-peer di crowdfunding per borse di studio.
E veniamo quindi al libro, anzi al librone e al librino. Su questo Aglietti e Barnini hanno le idee chiare e non nascondono le ambizioni: “Al di là dell’intento divulgativo e di essere stati tra i primi a scrivere dell’argomento in italiano, pensiamo che esso possa rivelarsi per noi un qualcosa di prezioso. Perché se aziende serie, grandi vorranno un giorno convertire dei loro team di sviluppo software nei quali già hanno sviluppatori, oppure se le scuole vorranno formare figure professionali con competenze sull’argomento, dovranno prima o poi scegliere un testo di riferimento. E poiché siamo in Italia è auspicabile che venga scelto un testo nella nostra lingua”.
Visto il loro background nel mondo web è inevitabile la presenza di un apposito sito, http://corsobitcoin.com, come vetrina per librone e bignami.
Ma perché è importante occuparsi di transazioni virtuali, gli chiediamo?
Intanto perché, ci dicono i due, con la tecnologia peer-to-peer e il protocollo Bitcoin si fanno delle verifiche, sulla falsariga di ciò che avviene nei circuiti SWIFT, che garantiscono il trasferimento monetario con pochissime spese di transazione, prospettando, almeno in apparenza, una libertà totale di trasferire e di gestire il proprio patrimonio.
Alessandro: “Banalmente, se io volessi trasferire 10.000 euro a un parente o a un amico che risiede in un paese non convenzionato con l’Italia, la banca potrebbe farmi delle domande, pagherei un costo di trasferimento non indifferente, e i soldi arriverebbero dopo giorni. Con Bitcoin riuscirei a trasferire il denaro probabilmente entro 10 minuti, e con una spesa di transazione irrisoria rispetto ad una banca”. Da questo punto di vista bisogna ricordarsi che esistono sistemi come PayPal che oltrepassano facilmente le barriere nazionali con un’efficienza simile a Bitcoin ma, a differenza di quest’ultimo, sono pur sempre censurabili non essendo peer-to-peer.
Alessio risponde così a un punto decisivo, la critica alla trasparenza dell’operazione: “Noi non siamo analisti finanziari, non è il nostro settore e nel nostro libro, per tale motivo, non c’è mai un riferimento al prezzo. Quindi non ci sentiamo di dire niente né sulle previsioni né se è un buon investimento o
meno. Noi siamo affascinati dall’innovazione tecnologica che Bitcoin porta con sé, quindi per noi il prezzo non esiste. Quanto alla sicurezza sulle transazioni, su questo mi sento invece di garantirlo perché le transazioni si basano sulla firma digitale che è un sistema di controllo con sicurezza molto
elevata, non hackerabile direttamente, la stessa utilizzata da tutti i siti di e-commerce. Infine, essendo una rete peer-to-peer pubblica, la blockchain di Bitcoin garantisce, al contempo della sicurezza, trasparenza assoluta”.
Prosegue Aglietti: “I bitcoins sono un investimento che, come le azioni della Coca Cola, è sottoposto alle fluttuazioni del mercato. È il funzionamento della borsa; puoi perdere i soldi ma li puoi anche ritirare ed essi diventano da virtuali reali. L’euro o il dollaro come supporto economico hanno intere nazioni con i loro indotti e le loro politiche, ma nonostante questo monete sudamericane hanno subito svalutazioni di oltre il 39;80%. Anche coi bolivar venezuelani potevi avere 10.000$ e ritrovarti con 2.000$. Quindi è un investimento ad alto rischio di sicurezza economica ma sicuro e trasparente
come processo transazionale”.
Ancora un punto importante: “Le caratteristiche che Bitcoin ha non lo rendono valido per le masse, ovvero per far sì che venga usato al posto degli euro nell’utilizzo quotidiano. Dal punto di vista dello scambio di valore molto lampante è che su Bitcoin per spostare tanti soldi spendi molto poco. Ad inizio settembre con una spesa di circa 500 euro di tasse sono stati spostati 94.505 bitcoins (circa 730 milioni di euro). Nessun sistema bancario permetterebbe questo, e per tale motivo viene naturale pensare che sia peculiare come sistema di scambio per grossi player (nazioni, continenti, corporations). Non per le spese spicciole. Saranno sempre due binari paralleli a meno di innovazioni tecnologiche molto spinte”.
La decentralizzazione non esisterebbe nel sistema peer-to-peer, ci dicono in sostanza i nostri amici, se Bitcoin non fosse stato pensato come egualmente lento per operazioni quotidiane e per operazioni finanziariamente complesse.Estrema sicurezza e decentralizzazione oppure minor sicurezza, centralizzazione e velocità: tertium non datur.
La chiacchierata prosegue toccando altri aspetti interessanti, di natura prevalentemente tecnologica.
Ma è tardi, e la comunità informatica probabilmente reclama i due toscani a qualche rito collettivo o a qualche scambio di “diavolerie” informatiche.
Come a San Diego, anche se siamo alla Bovisa.