La Storia (vera) della creazione di un ritratto di un intero Paese (o quasi)

Titolo: Questo pannello non s’ha da fare!

Si può disegnare un intero paese?
Se mi avessero fatto questa domanda un paio di settimane fa avrei risposto che sarebbe stato bello, ma alquanto improbabile!
Ma ben presto mi sono dovuto ricredere…

Premessa:
Durante la stesura di quest’articolo mi sono reso conto di un fattore importante. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a rendere l’effetto di epopea, di Odissea, di opera quasi eterna tanto è ampia la sua complessità. La scrittura sembrava non rendere omaggio ad un lavoro che è stato per me, oltre che causa di molti ricoveri, anche molto importante. Ho deciso quindi di renderlo come un paragrafo inefficace dei Promessi sposi. Un pannello che bisogna finire ma che per via di mille peripezie, in un modo o nell’altro, non si riesce mai a completare! Sarà a prova dell’indimenticato Manzoni? Ai posteri l’ardua sentenza.

Era la sera di uno dei primi di Luglio e per una di quelle stradicciole tipiche della campagna emiliana, talmente ricca di falle da farla sembrare una groviera, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, Daniele il disegnatore, improvvisato vignettista del paesello di Sant’Ilario (non quello di De Andrè, quello si trova in Liguria).

Mentre balzava di buca in buca, pensando a cosa avrebbe mangiato per cena, ricevette una telefonata che non si aspettava…
A rigor di logica all’altro capo del telefono, ci si aspetterebbero due “Bravi”, ma si rincuorò dopo poco, nel sentire la voce di “ANDO”, rispettato educatore dell’oratorio del paese.
“S’hanno da fare delle caricature! Hai tempo?”
Non era una richiesta nuova per lo zelante vignettista.
Daniele aveva già lavorato per lui in passato, armato di cavalletto e matite, facendo ritratti ai ragazzi che si avvicinavano, mettendoli in posa e ritraendoli su carta. Però, il più delle volte, il suo lavoro si trasformava nel disegnare “Peppa pig” o i più ben noti “Paw Patrol” (questi ultimi scambiati dal protagonista per una marca di copertoni).

“Sì, solito contentino?” – Rispose Daniele. (Il contentino, per chi non lo sapesse, era una valuta usata nell’antica Grecia, molto in voga sopratutto durante il periodo Ellenico. Il suo valore ad oggi è paragonabile a quello di un “pranzo”. Attualmente non ci sono pervenute prove di tale, rara, moneta, ma gli studiosi sono più che certi che anche i grandi del passato come Skopas, Fidia e Policleto si facessero pagare in “contentini”).

Il lavoro era molto semplice, nulla di particolarmente complesso per il disegnatore.
Quando arrivò al parco dell’oratorio sapeva esattamente cosa fare… Aveva una serie di riti che ripeteva quasi ogni giorno: piazzare il cavalletto, mettersi comodo sulla sedia, preparare le matite e aspettare la transumanza.
Passò qualche minuto ed ecco arrivare il primo gruppo, più simile ad una mandria: una decina di ragazzi fra i sei ed i quattordici anni, il cui il più esile avrà avuto la corporatura di un vitello.
Il ragazzo iniziò le caricature e senza che riuscisse a consegnare la prima “opera” ecco che sopraggiunse un altro gruppetto, stavolta più numeroso, seguito a sua volta da un altra schiera di ragazzi, anch’essi dalla mole importante.
In breve tempo si formò una “cappa” umana di curiosi, che a tutto servivano tranne che a tenere al fresco il povero protagonista, che iniziò a cercare aria e refrigerio boccheggiando qua e là, facendolo assomigliare in tutto e per tutto ad un medusa sotto al sole.

 

A lavoro finito, Daniele si diresse verso il “Bravo” Ando, che se ne stava a cavalcioni su un muricciolo basso del parco, con una gamba a penzoloni al di fuori e con l’altro piede appoggiato sul terreno.
“Sai che mi è venuta un’idea?” – Tuonò il bravo.
“Dimmi!” – Rispose Daniele.
“Ma se ti chiedessi di farmi un bel disegno su un bel pannello bello grande?” Disse Ando arricchendo la frase di aggettivi.
“Direi che sarebbe un’ottima idea! Ma a quale scopo?” – Chiese ingenuamente il disegnatore.
“In oratorio abbiamo un muro spoglio particolarmente brutto! Possiamo coprirlo con un bel disegno, un bel pannello! Una gigantesca opera d’arte! Ti viene in mente qualcosa?” – Propose il bravo, sentendosi un mecenate.
“Beh… Non saprei! Bisognerebbe fare un progetto! Potrei fare…

Daniele temporeggiò.
Le uniche cose che gli passarono per la mente furono rimandi a Pollock e Rotko! Opere sicuramente molto belle, ma forse un po’ fuori moda! Finchè, uno dei ragazzi si avvicinò con un foglio in mano, chiedendogli di fargli la caricatura dei suoi genitori, da lì… l’illuminazione!.

“Potrei fare la caricatura degli iscritti all’oratorio! Così da avere una gigantografia a colori di tutti i ragazzi che vengono qui a giocare! Un disegno fatto a mano, colorato a tempera, su un bel pannello di legno, come dici tu, inchiostrato come se fosse la copertina di un fumetto!”
Non l’avesse mai proposto…
“Mi sembra geniale!” – Rispose Ando -“Sei in grado di farlo?”
– “Certo! Quanti iscritti siete?”
“Circa trecento!”
“TRECENTO?” – Urlò Daniele – “Non è un problema” – affermò spavaldo.
Nella sua mente, nell’esatto istante in cui diede quella risposta, gli passarono tutti i momenti più importanti della sua vita, iniziando a nutrire serie preoccupazioni su quel pannello e sentendo la necessità di scrivere un testamento in caso di morte accidentale sul lavoro.
Sapeva di essere in grado di farlo, ma sapeva altresì che quel pannello, quel maledettissimo pannello, sarebbe stato l’inizio di un’epopea degna dei Promessi sposi.
Un’opera dal titolo: “Questo pannello non s’ha da fare!”.

La sua unica forza di volontà era dettata dal “contentino” che avrebbe ricevuto nel fare quel lavoro! Avendo il valore di un pranzo, ciò sarebbe stato degno di un ristorante gourmet. Ma fino ad allora, fino a che non avresse completato il lavoro, uno dei pochi modi che aveva per tirarsi sù di morale sarebbe stato sniffare i Pantoni che usava per inchiostrare.

I primi giorni furono dedicati alla costruzione del supporto, un pannello di legno ricoperto di cementite, largo tre metri ed alto due.
Un gigantesco foglio bianco che attendeva soltanto di essere disegnato e dipinto.


“Come agiamo?” – Chiese Daniele al bravo Ando, mentre appoggiato al pannello cercava un modo per disegnarci senza impiastricciarsi.
“Te li mando per gruppi!”.
Il piano era semplice ed efficace: i bambini dell’oratorio sarebbero arrivati uno per uno e si sarebbero fatti ritrarre all’interno di una griglia venti per trenta con ogni quadretto di dieci centimetri per lato. Un quadretto un volto. Il risultato sarebbe stato simile ad una folla da stadio esultante ricca di elementi curiosi e oggetti da trovare… Un po’ come quelle tavole da “Trova Wally” (O Where’s Waldo) illustrate da Martin Handford negli anni novanta.

Arrivarono i bambini!
Il “cuor di leone” Daniele sapeva benissimo come fare il suo mestiere… Ma un conto sono le buone intenzioni, un altro è lo sfinimento fisico. Già, dopo soltanto il centocinquantesimo bimbo iniziò ad accusare il polso, sviluppando un callo sul mignolo e muovendosi quasi convulsamente.
Ando il mecenate arrivò ad ammirare lo stato dei lavori.
– “Ma se facessimo anche gli animatori su questo pannello?” – Chiese pacificamente, incurante che una richiesta del genere avrebbe potuto scatenare un linciaggio da parte del creativo.
“ Beh, lor signori sono uomini di mondo e sanno benissimo come funzionano queste faccende… Il tempo è quel che è… Non vorrei star qui fino alla prossima pandemia! Se vuoi gli animatori te li faccio, ma avrò bisogno di una mano!” – Rispose Daniele diplomatico.
– “Certo! Chiedi e ti sarà dato!” Controbatté l’immenso Ando, sentendosi un po’ più celeste.

I giorni passarono e piano piano il disegno prese forma.
Tutti i bambini vennero caricaturati, tutti gli animatori vennero illustrati e intanto che c’era disegnò anche qualche animale, un palombaro, un clown, uno sceriffo, qualche personalità politica, qualche albero, fece un po’ di vegetazione… Era entrato nel “mood” automatico, e quando non c’erano bambini da disegnare… Beh, se li inventava.

È facile mettere la “modalità automatica” nei disegnatori, basta andare in “opzioni avanzate”, “inserimento” e cliccare su “Pilota automatico”, “dargli una penna ed un foglio” ed ecco che andranno avanti imperterriti per la loro strada finché ne avranno le forze.
Più volte a Daniele partì il salvaschermo, la sua faccia proiettava immagini di repertorio di paesaggi e luoghi immaginifici mentre la sua mano andava avanti per conto proprio. Il cervello si spense ma la sua mano no.

In pochi giorni disegnò tutti gli iscritti all’oratorio, poco più di trecento persone, fra educatori, animatori e ragazzini (senza contare palombari e animali vari). Chi passava, ogni tanto, ad ammirare lo stato dei lavori non poteva fare altro che immaginarsi il lavoro completo, e dalla bozza a matita sembrava promettere molto bene. Ma la fine era ancora lontana e bastava anche solo un errore per rovinare il tutto.

Dopo il disegno a matita ci fu la parte più monotona e noiosa, l’inchiostrazione. Una parte metodica, dove bastava ricalcare ciò che si è disegnato in precedenza per vedere “risaltare” il proprio disegno con i cosiddetti “inchiostri”. Ma non credo meriti una descrizione accurata, non penso che a qualcuno possa interessare la tecnica su come tirare delle linee con delle tempere ad alcool, a meno che voi non siate dei pantografi.

Passò una settimana dall’inizio dei lavori e finalmente sembrava di vederne la fine.
Il lavoro di un sol uomo che passò dodici ore al giorno accanto alla sua “bestia nera”, ormai immagine costante anche nei suoi sogni.
Ma se fino ad ora tutto sembrava procedere per il meglio, come ogni romanzo che si rispetti, improvvisamente arrivò la disfatta di tutto quello raccontato fino ad ora.
Ricordate che il bravo ANDO promise un aiuto allo zelante Daniele? Ecco, l’aiuto si tradusse in un: “Ti mando tutti gli animatori a colorare!” e così fu…Una sfilza di ragazzi e ragazze in piena età puberale che non vedevano l’ora di metter mano ai pennelli in quanto “meno rompi-balle” dei ragazzini che dovevano gestire.
Il baldo creativo si ritrovò d’improvviso dall’essere un dimenticato disegnatore in un polveroso angolo del parco… Al gestire il pannello più “ambito” di tutto il paese. Tutti volevano metter mano su quel pannello, tutti volevano lasciarci la propria firma.

Chiedere ad un artista di aiutarlo nel proprio lavoro, in special modo nel colore, è come chiedere ad un medico di lasciarvi tagliare un corpo col bisturi durante un’operazione di precisione… (il paragone è stato volutamente esagerato per amore dell’intrattenimento, ma sono abbastanza sicuro che la reazione di entrambi si traduca con un bisturi, o una matita, infilzati nella carotide).

Però Daniele scoprì, dai racconti di chi lo stava aiutando, che un disegno ritraente l’intero paese era un’attrazione, un qualcosa di sentito all’interno della comunità, quasi un’evento!
Forse era troppo distaccato da non riuscire a vederlo più che un semplice lavoro di artigianato.
Per lui era routine, per loro, forse, qualcosa di più.
Anche solo l’essere ritratti all’interno di un’opera doveva essere un’emozione.
Sai che rimarrai lì per sempre, sai che resterai appeso ad una parete a fissare con sguardo giudizioso le generazioni future. E solo in quel momento il disegnatore capii perché mi gli diedero una mano.
Il far parte di un’opera così particolare, il poter dire: “anch’io ho dato il mio contributo” significava tanto per loro, così come significava tanto per il disegnatore! Quell’opera non doveva essere il disegno malato di un folle che ne rappresentava l’esclusiva capacità artistica. Era il pannello di un paese e doveva rappresentare IL PAESE, quindi perché non far sì che sia il paese stesso a realizzarlo?
Tutto questo gli passò per la mente mentre cercava di difendere le latte del colore dalle grinfie dei ragazzi, urlando: “Non vi avvicinate, PESTI!” ma dopo qualche secondo si arrese all’inevitabile abbassando la guardia e allungandogli pennelli e vernici.

 

La parte del colore fu ETERNA.
Tanti dettagli da colorare e tante persone da gestire.
Ma oltre ai ragazzi arrivò LUI: Fra Cristoforo(il vice- parroco).
Il fra Cristoforo (Frate per esigenze narrative ma parroco nella vita vera) era un individuo corpulento e dall’aria rubiconda, evidentemente doveva aver fatto incetta del “sangue di cristo”. Ogni mattina, ogni pomeriggio ed ogni sera arrivava a valutare lo stato dei lavori commentandolo con la stessa frase, SEMPRE.
“Bello… BRAVO!” – ed ogni volta la risposta di Daniele si riassumeva in un brontolio borbottato.
“Mi dica DON, che ne pensa?”
“Bello, bello… Bravo, bravo!”
“Ci vede qualcosa che non va? Qualcosa da migliorare?”
“Nooo, è bello, bello! Bravo, bravo!” – Rispondeva il don catatonicamente.
“Sì, ma c’è qualcosa che posso migliorare? Dove vuole essere disegnato? in basso, in alto?…”
“Nooo, è bello, va bene! Bravo, bravo!”
Facendo del qualunquismo più totale, il fra Cristoforo della bassa emiliana divenne ben presto il metodo di giudizio dei disegni. Sentirsi dire Un “bravo” corrispondeva ad un sei, due “bravo” ad un otto, mentre un “bello, bravo” era sette ed un “Bello, bello, bravo, bravo” ad un nove!

La crew al soldo del disegnatore, impostagli dal bravissimo Ando il mecenate, si trasformò in un gruppo di lavoro efficientissimo. La volontà di ognuno di fare un bel lavoro faceva sì che mostrassero una cura quasi maniacale nel compiere al meglio i compiti imposti, colorare dentro dei bordi. Sembrava di assistere al restauro di un’opera museale, con una decina di operai armati di pennello e colori, ognuno con un compito ed un ruolo preciso. Nonostante la diffidenza iniziale, il buon Dani, sembrò ricredersi, quei ragazzi, così pieni di voglia di fare, gli stavano velocizzando un sacco il lavoro.
Ma quando ti dicono: “Questo pannello non s’ha da fare!” vuol dire che NON S’HA DA FARE!

A rovinare questa bellissima macchina operaia ci pensò L’INNOMINATO, uno degli educatori.
Convinto di possedere grandi doti di precisione e leggendarie qualità artistiche: l’innominato (di cui, appunto, non farò il nome), ebbe la brillante idea di appoggiare un bicchiere pieno d’acqua per il lavaggio dei pennelli sul pannello stesso, e nonostante l’invito di Daniele di spostarlo sul tavolo (in quanto se si fosse rovesciato avrebbe rovinato non poco il lavoro) rispose: “Non ti preoccupare che ho dei riflessi felini!”. Immediatamente dopo quella risposta, il bicchiere decise di “svenire” (forse per il caldo) sul pannello, dando vita ad un OCEANO formatosi (forse) per colpa della legge sulla deriva dei pannelli.
Ad oggi, quell’animatore, è cercato da “Chi l’ha visto!”

Passarono due settimane.
Quello che all’inizio dei lavori era un bel ragazzo robusto, arrivò alla fine con il fisico di una larva.
Era un caldo pomeriggio di sabato ed entrando in modalità automatica, il paziente Daniele, stava colorando gli iridi e gli occhi delle persone ritratte. Venne raggiunto da Ando, con in mano due birre, questi ne aprì una e se ne versò in un bicchiere, l’altra la offrì al disegnatore che, staccando il pennarello dal pannello, si rese conto di essere arrivato in fondo.
– “Ho finito! HO FINITO!” – Esclamò Daniele.
– Non pensavi di arrivarci in fondo?” – Rispose Ando.
Daniele si allontanò, guardò il disegno, prese la birra offerta e si sedette a guardarlo.
Quei due, messi lì, davanti a quel pannello pieno di colori, pieno di facce, pieno di “cose”, sembravano proprio due vecchietti appoggiati agli spalti di una bocciofila.

“Ti rendi conto che abbiamo disegnato un’ intera città?!” – Disse Ando sorseggiando.
“Abbiamo?” – Rispose Daniele furioso.

Io spero che questa storia possa raccontare un po’ della follia che si nasconde dietro alla mente di un povero disegnatore. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene a chi ben l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete, non l’abbiamo fatto apposta.

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