“Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America
Tutti voi conoscete il detto Chi trova un amico trova un tesoro; noi de L’Ordinario ci crediamo fermamente e pensiamo di aver trovato un amico incontrando Salvatore Liggeri.
Avevamo sentito parlare di questo ragazzo che, per raccogliere fondi per Dynamo Camp https://www.dynamocamp.org/ (struttura italiana di Terapia Ricreativa pensata per ospitare minori le cui vite sono compromesse dalla malattia, dove si svolgono attività ludiche e sportive e in cui si può vivere un’esperienza di svago, divertimento, relazione e socialità in un ambiente naturale e protetto), sta percorrendo la Via Francigena; che nelle sue dirette social parla di felicità, di condivisione, di sorrisi; che ha già percorso in precedenza il Cammino di Santiago e ne ha scritto in un libro, Salvo a Santiago.
Incuriositi, abbiamo deciso di incontrarlo e di farci raccontare la sua storia.
Salvo, parlaci un po’ di te e di come nasce questa avventura.
“Mi chiamo Salvatore, sono nato il 2 Maggio del 1993, ho 26 anni. Principalmente cammino ma non sono un pellegrino, scrivo ma non sono uno scrittore. Sono un idealista. Ecco la parola che racchiude tutto ciò che faccio. Tutto è iniziato lo scorso dicembre dal Cammino di Santiago; è iniziato semplicemente con una diretta attraverso una pagina Facebook che si chiama Il Cammino di Santiago da dove ho iniziato a raccontare questo pellegrinaggio. La stessa sera sono arrivati circa un centinaio di messaggi. In questa diretta avevo parlato della felicità, della bellezza di condividere, del fatto che utilizzare i social responsabilmente è una potenzialità per il progresso. Oggi si condivide tanta cattiveria, tanto razzismo, tante cose brutte; e invece attraverso la condivisione di esperienze di felicità si può fare tanto anche attraverso i social. Quella sera ho ricevuto messaggi di persone che avevano veramente grossi problemi nella loro vita e hanno avuto il coraggio di condividerli con me. Da allora mi sono sentito quasi in dovere di continuare a fare quelle dirette, di continuare a raccontarmi e a raccontare, di mostrare quale era il mio punto di vista sul mondo in quel momento. Sono arrivato a Santiago che ero una persona distrutta: nonostante abbia solo 26 anni sono diventato papà a 23 anni, ho una figlia di 2 anni e mezzo che vive in Polonia e che mi viene letteralmente impedito di vedere. Ho affrontato nei due anni antecedenti al cammino un periodo struggente, perché lavoravo in Svizzera ed ero solo, stavo attraversando un periodo credo depressivo e non sapevo più dove sbattere la testa, non sapevo più come comportarmi. Poi è arrivato Santiago alle mie orecchie. Per me Santiago rappresentava il perdere tutto per ritrovare tutto e così è stato, perché ho iniziato il mio cammino il 27 novembre 2018 e da allora è successa una magia che non mi sarei mai aspettato. È nato questo ideale di condivisione della felicità, ne è nata una community, che oggi conta migliaia di persone, che condividono le mie storie attraverso le pagine social. Questa comunity dal virtuale è passata al reale perché poi ci siamo incontrati varie volte durante l’anno – La prima è stata a Carrara dall’ 1 al 3 febbraio allo speciale eventi Vita all’aria aperta, dove ero ospite per testimoniare il mio cammino. Successivamente a maggio quando ho pubblicato il libro Salvo a Santiago; il titolo è un gioco di parole fra il mio nome, che ha l’abbreviativo di Salvo, e il fatto che sono arrivato salvo a Santiago. A Torino erano presenti veramente tante persone; poi abbiamo organizzato un’escursione sul Sentiero degli Dei e anche lì eravamo una decina di persone, e siamo stati insieme condividendo esperienze e sensazioni. La cosa bella è che questa community è sparsa in tutta Italia e sono nate molte amicizie. Crediamo tutti in questo ideale di condivisione perché quando si condivide si progredisce in qualche modo, e la condivisione è molto importante. Spesso le persone ferite tendono a chiudersi, a isolarsi e questo crea sfiducia nel mondo e nelle persone; invece condividendo si crea speranza, si solidifica, diventa reale. Comunque insieme possiamo fare tanto, possiamo fare la differenza. Una dimostrazione di questo è avvenuta al Salone del Libro perché tutto il ricavato del 10 Maggio è stato totalmente devoluto alla Dynamo Camp. Da lì è nata una collaborazione e ho aperto una campagna per loro che si chiama In cammino per Dynamo, con la quale sto sostenendo e raccogliendo fondi. La cosa meravigliosa è stata che, seppur non sia facile raccogliere fondi, ma con tanta partecipazione tutto è possibile, da quando è partita la campagna abbiamo raccolto soltanto dalla campagna Social più di €300. Inoltre c’è stato l’avvicinamento del Comune di San Miniato che ha deciso di organizzare un aperitivo solidale, e tutto il ricavato verrà devoluto alla Dynamo Camp. Questo dimostra il fatto che nelle piccole cose si possono fare grandi differenze e lo sto vivendo sulla mia pelle; se si vuole, con perseveranza, con la voglia veramente di cambiare le cose, e anche con integrità morale, si riesce. Per questo sono ancora più determinato a continuare questo cammino e i prossimi cammini, cercando di tramandare questo ideale”.

Come mai hai deciso di sostenere questo progetto?
“Io sono papà ma non riesco a vedere mia figlia purtroppo, se non attraverso i social e varie foto e pertanto ho voluto collegare qualcosa che mi riconnettesse a quell’amore paterno e alla relazione con i bambini. Quando ho scoperto che Dynamo Camp gratuitamente aiuta i bambini con malattie più o meno gravi e si prende cura delle loro famiglie, per esempio offrendo loro una settimana di campus, di attività sportive, di arte e tantissime attività all’aperto, ho pensato che tutto questo si avvicinava alla mia passione per i cammini e all’amore per i bambini, e quindi rappresentava la combinazione perfetta. E se posso nel mio piccolo permettere loro di frequentare quel Campus, di avere attrezzatura sportiva nuova o il materiale necessario, sono felice di sostenerli”.
Quando nasce la tua passione per i cammini?
“Quando avevo 5/6 anni mi ricordo che mi piaceva “perdermi”, io ero innamorato del fatto di potermi perdere, anche se c’era mio padre pronto a rincorrermi! Ho sempre voluto perdermi, avevo questa voglia di andare nell’ignoto, di camminare, di avventura che però non avevo mai associato al mondo dei cammini. Diciamo che camminatore vero e proprio lo sono diventato dopo Santiago e intendo camminare per più giorni, con un peso sulle spalle, affidandomi a quello che la giornata offre, agli incontri che si fanno giorno per giorno con le persone”.
Ci hai raccontato gli aspetti positivi del cammino; ce ne sono di negativi, ad esempio l’incontro con se stessi?
“Ci sono tante vite che hanno paura di confrontarsi con loro stesse e io ero una di quelle, perché confrontarsi con se stessi spesso fa male specie quando dobbiamo accettare che il tempo vola, che il tempo non ci appartiene, che la vita è a noleggio, che siamo fatti di tanti limiti e siamo fragili. Spesso le persone si creano delle corazze pur di non farsi delle domande, e cercano di darsi già delle risposte prima ancora di farsele, quelle domande. Questo è stata una sfida che sono riuscito a superare grazie ai cammini e alla scrittura. Quando ho iniziato a scrivere, prima ancora di pubblicare il libro, l’ho fatto schematizzando tutte le cose che non mi piacevano di me ma anche del mondo. Ricordo che vomitavo letteralmente parole su carta, perché tutta la bruttezza la buttavo fuori, per me è stato come un punching ball, uno sfogo, mi sono reso conto che tutto quello che volevo buttare fuori l’avevo fatto attraverso la scrittura. I cammini mi sono semplicemente serviti da specchio. Alcune persone si lamentano del fatto che tanti percorsi sono tutti rettilinei e uguali, io rispondo che quando non c’è più niente da guardare fuori allora si può iniziare a guardare dentro se stessi. Il cammino è uno specchio su cui ci si riflette ogni giorno, come guardarsi sulla riva di un torrente; nell’acqua vedi te stesso. Con i cammini è la stessa cosa: impari a conoscere il tuo corpo, impari a conoscere i limiti del tuo corpo, impari a conoscere la sopportazione del dolore, del peso, ma anche della noia, perché non è che è tutto il tempo il cammino sia entusiasmo, ci sono tratti che possono essere più noiosi. La noia non è qualcosa da evitare, è qualcosa con cui bisogna imparare a convivere. Molto spesso tante relazioni finiscono per la noia, quando invece potrebbe essere un trampolino di lancio per arrivare a delle nuove idee. Ecco il cammino ci insegna veramente tanto a livello emotivo, personale e fisico”.
In tutto questo che ruolo ha la Fede?
“Prima del cammino mi ricordo che un sacerdote di Campiglia Marittima, al quale avevo confidato il mio dolore per quello che era successo; mi aveva dato un medaglione di San Benedetto e mi aveva detto: portalo con te e ti proteggerà sempre.
Durante i periodi brutti, anche quando piangevo, stringevo tra le mani questo medaglione e mi sono affidato alla Fede. Ovviamente può essere interpretato come aggrapparsi a qualcosa, fino a che poi non sono arrivato sul Cammino di Santiago. Lì non ho riscoperto la Fede, ma mi sono ricordato nuovamente di Dio. Viviamo una società che spesso tende a farci dimenticare di Dio, invece quando si cammina dall’alba al tramonto riceviamo delle percezioni da ciò che ci circonda e Dio c’è , magari non è l’omone con la barba e la corona, ma è un’essenza, Dio è tutto ciò che ci circonda, è la vita. Quindi ho ritrovato Dio sul Cammino di Santiago”.
Come sei arrivato al Cammino di Santiago?
“Ricordo che a marzo scorso ero venuto per un mesetto a casa prima di ripartire poi per la Grecia. Da quando ho diciotto anni, dal 2012, ho iniziato a viaggiare attraverso l’Europa lavorando e viaggiando in Svizzera, in Germania e Polonia. Sono partito con €70 in tasca e facevo l’animatore vitto e alloggio a €500 al mese, poi da lì ho fatto il lavapiatti, il cameriere, il magazziniere, il direttore di sala, per finire a fare l’operatore finanziario a Firenze quest’anno. È stato rimboccarsi le maniche costantemente per riuscire a essere sempre indipendente. Dopo questi 8 anni mi trovavo a marzo dell’anno scorso a casa e una mia amica, mentre camminavamo qui in mezzo alle colline di San Miniato, mi ha parlato del Cammino di Santiago. Lo avevo già sentito dire dai giornali, dai film, anche da Coelho, però non non lo conoscevo e da quando lei me ne ha parlato sentivo che dovevo andare, c’era qualcosa che mi richiamava. C’è un detto che dice che il cammino inizia quando se ne viene a conoscenza e per me è iniziato quel giorno di marzo. Ho organizzato il mio cammino e il 27 Novembre del 2018 ero a Saint-Jean-Pied-de-Port”.
Cosa rappresenta per te il Cammino?
“Santiago, a prescindere dal fatto che tu sia laico o religioso, ti cambia: quando vivi tutto il tempo nel circolo vizioso delle cose da fare, si corre il rischio di perderti o di dimenticarti della tua libertà, che è importantissima. Concedersi tempo è fondamentale, bisogna ogni tanto staccare. Il Cammino di Santiago offre alle persone un contatto con la cosa più naturale del mondo, noi siamo camminatori, è la nostra natura, soltanto che ci siamo dimenticati di farlo. Oggi è facilissimo spostarsi in metro, in bus, invece camminare ti fa sentire parte della natura, dell’universo. Noi non siamo qualcosa di astratto. Abbiamo creato il virtualismo ma in realtà noi siamo nati in mezzo agli alberi, respiriamo ossigeno, siamo a contatto con gli animali. Il Cammino di Santiago ti riporta alla natura, all’essenza delle cose, a camminare, a seguire il sorgere del sole, a condividere sorrisi e parole con il prossimo”.
I tuoi prossimi progetti, i tuoi sogni?
“Sogno di riabbracciare mia figlia al più presto, da questo punto di vista la mia lotta è raccontare la verità, voglio testimoniare tutto in sua assenza, tutta la mia vita, tutto quello che faccio, che ho fatto e che farò. Ho scritto un libro per mia figlia, cammino per mia figlia, sogno grazie a lei e penso che lei ci sia da qualche parte, che guarda il cielo, che gioca. Finché lei è viva, vivo io. Ho poi un sogno, è un grande sogno ma mi ripeto sempre che a passi piccoli ma belli e forti so che potremmo essere capaci di raggiungerlo nell’arco di qualche anno. Il mio sogno è di chiedere all’Unione Europea, e quindi a tutti gli stati membri, il riconoscimento del Diritto Costituzionale alla Ricerca della Felicità, che esiste per esempio negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
C’è in una certa misura anche in Italia, il problema è che non viene mai nominata la parola felicità. Questo lo trovo ingiusto perché ogni essere umano, a prescindere dal ceto sociale, da dove provenga, ha diritto a questa ricerca. Anche se i periodi sono difficili e tanta gente non ci crede neanche più alla felicità, che sia riconosciuta dai governi è una cosa importantissima che potrebbe far leva su tante altre azioni, non sono a livello sociale, ma anche a livello ambientale, a livello dei diritti umani. Quindi sapere in qualche modo che questo diritto può essere riconosciuto dai governi è un grande passo avanti per l’umanità e oggi di umanità ne abbiamo tanto bisogno. Credo che sia arrivato il momento di rivoluzionare totalmente ciò che ci circonda, dall’ambiente,alle politiche sociali, alla tecnologia. Voglio dare il mio contributo a questa lotta nei prossimi anni. Nel 2020 andrò in Israele, farò il Cammino di Gerusalemme, concluderò tutti e tre i cammini religiosi, dopodiché mi dedicherò totalmente a questa battaglia. La chiamo battaglia, ma battaglia non è, perché come dico io la più bella delle rivoluzioni inizierà con un sorriso. Non sarà una battaglia di manifestazioni ma sarà una battaglia di felicità, di gioia, di condivisione; è semplicemente una richiesta ai governi e spero con i numeri, perché l’unione fa la forza, di iniziare questa piccola rivoluzione del sorriso”.