Il ferro e il mare si fondono insieme nella produzione artistica di Nicola Micali, un giovane e talentuoso scultore messinese, che abbiamo conosciuto nel piccolo borgo di Trebiano in provincia della Spezia e che crea con materiali di riciclo, molto spesso “pescati dal mare”.
La sua mostra inaugurava i locali della pro loco del paese appena costituita, due piccole stanze in pietra, senza finestre e con un’illuminazione soffusa, che proveniva dalle due porte di ingresso. Sui piedistalli ci osservavano quasi minacciose le sue maschere in metallo.
Queste opere ci hanno affascinato, ci guardavano con gli occhi vuoti e nel contempo profondi come gli abissi, ci
trascinavano negli angoli più bui della nostra mente, costringendoci ad affrontare le paure più recondite della nostra anima. Maschere che simboleggiano i demoni che ciascuno di noi deve affrontare per raggiungere la luce, opere che ci lanciano un monito: «Mai arrendersi, anche se la vita ci avvolge nei flutti perigliosi del mare in tempesta.»
La maschera è sempre stata usata dall’uomo per nascondere il proprio io o in qualche modo per avvicinarsi alla divinità. Dietro alla maschera si celano tutti i sogni, le paure o le possessioni negative dell’umanità. Micali è un artista controcorrente, lavora materiale di scarto, oggetti che non servono più, che la quotidianità ha buttato nei rifiuti. Ogni opera torna così a una nuova vita, realizzata dalle mani dell’uomo, nessun oggetto è uguale all’altro, attraverso il fuoco tutto torna allo stato primordiale e da qui acquisisce una nuova identità.
Gli abbiamo posto qualche domanda.
D. Buongiorno Nicola, presentati ai nostri lettori. Chi è Nicola Micali? Nasce o diventa un’artista?
Sono sempre stato affascinato dall’arte. Fin da piccolo mi sono approcciato al disegno in modo autonomo, per poi passare alle prime prove di scultura. Scorgevo in embrione quello che la materia poteva offrire, era mia amica e le mie mani, quasi avessero memoria antica, si sono adattate pian piano al pensiero che maturava crescendo in abilità.
D. Legno, ferro, osso, rame e ottone: perchè la scelta di questi materiali?
La scelta di questi materiali è avvenuta in modo naturale, quasi come un’esigenza. Sono elementi legati al passato e alla storia dell’uomo. Elementi intrisi di forza che riescono a comunicare una volontà.
D. Arte, mare e sostenibilità: perchè questi tre pilastri caratterizzano la tua attività artistica e
come si intrecciano nelle tue opere?
Il mare rappresenta per me una delle massime forme di libertà e diventa un pilastro fondamentale del processo creativo. Durante le mie numerose immersioni ogni ritrovamento ha smosso delle forze, che sia una pietra o un pezzo di ferro arrugginito. È lí che in modo inconscio comincia un dialogo tra me e l’elemento. Il tema del recupero e della tutela ambientale hanno assunto per me un’importanza centrale, poiché il mio profondo legame con il mare mi spinge a proteggere e preservare questo incredibile e prezioso habitat.
D. La tua mostra si intitola Nigredo. Ci racconti della fusione tra la maschera e il metallo?
Le maschere sono un mezzo per fissare le fattezze dei demoni, in questo caso e per estensione, simboli innati e predominanti dell’inconscio, archetipi che si manifestano con veemenza e nascono dal fuoco a colpi di martello. Solo il metallo mi permette una tale violenza e libertà di espressione. La nigredo rappresenta la fase in cui la materia deve essere decomposta, affinché ritorni al suo stadio primitivo, cioè alla condizione del caos originario da cui ha avuto origine tutta la creazione: dapprima occorre infatti distruggere gli elementi perché si possano ricomporre successivamente in una sintesi superiore.
D. Quanta Sicilia c’è nelle tue opere?
La Sicilia è una terra avvolta dal mistero e da leggende millenarie, dove ogni sguardo svela l’incantesimo che la pervade; un luogo intriso di fascino che ha catturato l’immaginazione dell’uomo fin dall’antichità. Sono siciliani anche l’isola e il mare che mi hanno fornito i materiali per le mie creazioni. Le mie opere sono il frutto di un legame profondo, che si riversa inevitabilmente sul mio lavoro. Cosi come è stato anche per la serie “Sulle tracce di Colapesce” opere sulle storie antiche, sui miti e le leggende della mia Sicilia.
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