Che cosa succede quando il grande amore per il teatro si unisce al coraggio di perseguire i propri sogni e alla determinazione a non mollare mai? Lo scopriamo insieme a Eleonora Franchi, la donna che ha costruito un teatro laddove un teatro non esisteva.
Eleonora Franchi, classe 1984, attrice teatrale, regista, insegnante, è la direttrice del Teatro “Buonalaprima” di Borgo a Buggiano, del quale è anche la creatrice.
Eleonora, parlaci di te.
Ho sempre fatto teatro. Nasco come attrice, ho studiato e lavorato diversi anni a Roma, dove ho frequentato l’Accademia Internazionale dell’Attore, la Permis de Conduire, ho fatto teatro in lingua, in inglese e francese. Contestualmente alla parte attoriale ho iniziato a studiare la regia e l’insegnamento, perché ho sempre pensato che la cosa più importante fosse trasmettere, soprattutto ai giovani, l’arte del teatro, in quanto chi nasce e vive nel teatro cresce in maniera diversa.
Quando e come nasce l’idea di creare un teatro?
Avevo l’idea di creare un centro culturale, un luogo che raccogliesse tante arti, il teatro, la musica, il musical e poter avere un luogo dove le persone avessero la libertà di esprimersi.
Inizialmente l’idea era quella più semplice di un centro culturale, poi nel tempo si è trasformata nell’ambizione, anche utopistica, di un vero e proprio teatro. L’antesignano è stato la creazione di una compagnia teatrale, nel 2009, Buonalaprima, formata da attori, alcuni dei quali formati da me, perché a latere della compagnia c’era un’associazione dove io insegnavo teatro.
Le persone della compagnia sono state poi spettatori della nascita del teatro.
Avevo iniziato a cercare un posto adeguato per il mio progetto, e alla fine ho trovato un capannone industriale, un vecchio solettificio, non c’era niente, se non quattro mura e l’accesso per i camion.
Sono iniziati i progetti e i lavori con la squadra di esperti, e da subito ho incontrato notevoli difficoltà sul piano burocratico, un percorso durato 4 lunghi anni, mentre i lavori edili sono stati fatti in otto/nove mesi. Una corsa contro il tempo per non aprire in ritardo rispetto all’inizio di una stagione teatrale e accademica. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta e abbiamo aperto il 19 Novembre 2016.
Come sta andando?
La prima stagione teatrale, preparata molto velocemente, era già abbastanza buona, varia, con molti professionisti. Nei due anni successivi la stagione è andata migliorando, e siamo riusciti a portare nomi importanti. La stagione è in crescita nonostante non sia facile portare le persone a teatro. Non siamo a Milano o Roma, ma in un piccolo paese dove non c’è la cultura del teatro, dove non ci sono nelle vicinanze teatri simili, ma più grandi, e quindi in grado di ospitare grandi produzioni, grandi musical, grandi personaggi, che attirano con più facilità pubblico. Un teatro più piccolo dove, per motivi di spazio, di platea, non puoi ospitare grandi produzioni, deve cercare altre cose per attirare pubblico. Per non perdere la parte artistica, professionale, abbiamo fatto una scelta coraggiosa, più difficile, quella di non inserire in cartellone le compagnie amatoriali, che avrebbero riempito il teatro; una scelta che alla lunga, però, porta più soddisfazioni. Abbiamo optato per una produzione varia, alla portata di tutti, di chi non conosce il teatro, delle famiglie, dei giovani e anche di coloro i quali invece sono appassionati. La carta vincente sta nel combinare assieme la prosa, gli spettacoli per bambini, i concerti, i monologhisti, il varietà, gli spettacoli di clownerie. Abbiamo avuto Pambieri che faceva vari pezzi di Pirandello e abbiamo avuto i comici di Zelig con lo spettacolo “Comedy Ring”. Due spettacoli opposti che potevano attirare tipologie diverse di pubblico. Abbiamo avuto Roberto Ciufoli che ha portato un one man show in cui catturava in modo esemplare le diverse sfaccettature di uomini e donne, ironizzando sulle abissali differenze che li contraddistinguono.
Abbiamo un festival di due giorni, Circus Break; il sabato offriamo uno spettacolo di clownerie e la domenica dei laboratori per bambini, un piccolo circo dedicato all’arte di strada.
Quest’anno abbiamo avuto Giorgio Pasotti con uno spettacolo in cui rielaborava grandi classici, cosa che ci ha permesso di portare a teatro un pubblico molto giovane; e per me è stato particolarmente importante, perché proprio i ragazzi, che spesso pensano che il teatro sia noioso, ci hanno rimandato un feedback molto positivo.
Come hanno reagito le istituzioni e il paese a questa idea innovativa di far nascere un teatro?
All’inizio ero convinta che le istituzioni mi avrebbero sostenuta nell’iter burocratico, ma in realtà ho affrontato tutto questo percorso da sola. È stata una forte delusione e sono stati anni molto difficili, perché il complesso iter burocratico è durato 4 anni e solo la mia determinazione e testardaggine mi hanno fatto proseguire. Ritengo comunque di non aver avuto sostegno e aiuto perché non si riusciva a comprendere fino in fondo che un teatro avrebbe portato moltissimo al territorio. All’inizio anche le scuole erano restie, poi, sottolineando che sia la scuola che il teatro avevano lo stesso proposito di diffondere la cultura, si è avviata una collaborazione, una bella sinergia.
La gente comune, sin da subito ha risposto positivamente: a un mese dall’apertura avevamo già settanta alunni iscritti all’accademia, in un crescendo che ha condotto fino agli attuali duecento iscritti.
Come mai il nome ‘”Buonalaprima”?
Questa è la frase che maggiormente identifica per me il teatro: al cinema, o in televisione. Puoi fare tutti i tentativi che vuoi, ma in teatro, quando si va in scena, deve essere buona la prima, non si ha una seconda occasione. Questo era anche il nome della compagnia teatrale e ho preferito mantenerlo anche per il teatro. E poi, in teatro, ogni volta è come se fosse la prima. Di uno spettacolo puoi fare 100 repliche, ma ogni volta è diversa, ogni volta è la prima.
Qual è la particolarità del tuo teatro?
Sono due.
La prima è aver messo insieme il teatro e l’accademia, perché di solito o c’è l’uno o l’altro, e quindi l’aver dato la possibilità di fare i corsi in teatro dove c’è già tutto: palco, luci, audio.
La seconda particolarità, che ci dà luce e valore, è la familiarità: tu entri qui e ti sembra di essere in una grande famiglia. Questo è ciò che gli altri ci riportano ed era proprio quello che volevo creare: voler rendere partecipe chi viene da fuori di questa comunità che si è creata. Tutti ci conoscono, ma soprattutto noi conosciamo per nome e cognome chi frequenta il nostro teatro, ed è una cosa unica e rara. Cerchiamo di far sentire gli spettatori parte di qualcosa perché il teatro è comunità, è aggregazione.
Quali sono i tuoi sogni e progetti futuri?
Il sogno più grande che avevo l’ho realizzato inaugurando il teatro, adesso spero che questa realtà vada avanti e cresca sempre di più. Per quanto riguarda la stagione, mi piacerebbe un domani portare alcuni grandi nomi, come Gigi Proietti o Michele Placido. Non so se sia una cosa utopistica o meno, e in ogni caso ho smesso di pensare che esistano cose impossibili da realizzare. Ho avuto qui Angela Finocchiaro, che aveva preso la residenza artistica per un suo spettacolo, e anche questa è stata una cosa che non credevo possibile. Parlare con lei, raccontarle cosa sta dietro a questo progetto e ricevere i suoi incoraggiamenti, è stato uno dei momenti più belli della mia vita.
Secondo te oggi in che direzione va il teatro, qual è il suo futuro? Una tua riflessione per ciò che concerne la professione e il pubblico.
È evidente che il teatro, negli ultimi decenni, ha perso tanto: la tecnologia, la frenesia della vita odierna, la scuola italiana non innovativa non aiutano. Per me studiare attraverso il teatro, facendo teatro, permetterebbe una migliore istruzione; ritengo anzi che dovrebbe essere una materia d’insegnamento nelle scuole.
La professione è difficile da portare avanti, a stento si arriva a fine mese, è sempre tutto molto instabile, lavori sei mesi intensissimamente e poi sei fermo tre mesi, fa parte del gioco e si sceglie di fare questa vita. Di attori preparati e bravi ce ne sono molti, ma ho notato che si tende a far lavorare sempre le stesse persone, e il tentativo è sempre quello di portare in teatro personaggi più noti del cinema e della televisione per attirare più pubblico. È difficile vedere un investimento sulle nuove generazioni per timore di non riempire i teatri. Ci vorrebbe un po’ più di coraggio, come quello che ho avuto io, perché, se s’investe, alla fine le risposte arrivano.
C’è una profonda mancanza di valori che invece il teatro t’insegna, come la disciplina e il rispetto. Il teatro ti permette di guardare dentro di te, di avvicinarti all’ascolto dell’altro. Il teatro ti permette di ascoltare e comprendere l’altro.
Sono convinta che la crisi del teatro sia strettamente legata a una crisi di valori della società: la frenesia della vita si contrappone al momento lento che è proprio del teatro. Manca la condivisione delle cose, ognuno vive per sé, corre impazzito senza sapere dove va. Noto una grande mancanza di riflessione, di ascolto, della voglia di mettersi in gioco e sperimentarsi.
Negli altri paesi vedo un altro atteggiamento nei confronti dell’arte e della cultura. Qui in Italia è come se ci fosse la paura della libertà: se si permette agli individui di esprimersi, se si hanno persone pensanti, queste sono più difficili da controllare, e l’arte in questo senso spaventa.
L’Italia, per assurdo, patria di tanti artisti e arti, non riesce a esprimersi come potrebbe.
Credo sia necessaria una svolta, un cambiamento, perché non è pensabile che si possa continuare a non dare valore a niente, a non valorizzare i talenti che abbiamo. È terreno fertile per l’avvento di personaggi famosissimi, seguitissimi, ma privi di talento, e per il declino dei programmi tv, tra cui alcuni talent, dove svanisce completamente l’aspetto dello studio e della fatica per arrivare ai risultati.
Oggi, con Youtube, con il tutto in rete, con il desiderio di apparire e ottenere un like, si offre un’immagine non vera e autentica delle persone. Ma sul palco di un teatro viene fuori chi sei, la tua anima, cosa che in un selfie non può capitare. È una lotta alla solitudine: se ci si nasconde dietro uno schermo, nei social, e non si frequentano luoghi di aggregazione, si sviluppa un senso di solitudine che si cerca di sconfiggere con il voler continuamente apparire, col far sapere a tutti cosa fai o dove sei. Viene meno il senso stesso dell’amicizia e prevale il chiudersi dentro il proprio guscio, da cui poi è difficile uscire.
Per questi motivi è fondamentale puntare sulle nuove generazioni attraverso la scuola e i centri culturali.
Eleonora, come vogliamo concludere?
Con una frase che dico sempre alla fine di ogni mio spettacolo.
Il teatro è passione, un meraviglioso viaggio all’interno di sé, è totale libertà di espressione senza limiti né pregiudizi. Fare teatro significa elevarsi al livello della comprensione reciproca, dell’amore e della condivisione. Chi si avvicina al teatro, difficilmente non se ne innamora.