Tra due giorni inizierà la sua mostra a Lucca, nel palazzo dell’ex Cavallerizza, dal titolo accattivante ‘Nel corso del tempo – Il paesaggio “rurbano” dell’Alta Corsica’, frutto di una residenza d’artista in Corsica nata dalla collaborazione tra il Photolux e il Centre Méditerranéen de la Photographie di Bastia. Lui, l’autore, Filippo Brancoli Pantera, noto fotografo di origine lucchese ma prestato ormai a tutto il mondo come ricercatore d’immagini, non si incontra facilmente in eventi mondani o pubblici (anche perchè è sempre in viaggio) dove il suo lavoro può essere fruibile a tutti, motivo in più per non perdersi questa occasione in cui sarà possibile osservare e conoscere un tipo di fotografia sicuramente all’avanguardia, che apre le porte non solo a un’estetica che, tra l’altro, non si regala da sola ma deve essere indagata, ma anche ad aspetti sociologici, antropologici e storici. Aspetti racchiusi molto bene nella parola “Rurbani”.
Un tema impegnativo quello esplorato nella mostra – visitabile fino all’8 dicembre – che mette in correlazione, all’interno di una sola immagine, il rapporto tra l’uomo e la natura, tra il passato e il futuro, tra gli errori o i pregi di uno sviluppo urbano, le proiezioni e i desideri di un popolo.
Per entrare dentro questo mondo nessuno, meglio di chi l’ha fotografato, poteva spiegarcelo. E allora lasciamo la parola a Filippo e prendiamo spunto per una lezione sulla fotografia paesaggistica.
Esiste un momento specifico – derivato da un fatto o da una considerazione – in cui tu hai capito che volevi occuparti esclusivamente di Paesaggio?
“Spesso, guardando indietro, siamo abbastanza bravi nell’unire con un tratto i puntini che segnano lo sviluppo della nostra storia. Tuttavia vedere queste traiettorie in diretta, proprio mentre si compiono, è assai più difficile. È stato così anche per me, guardando indietro, appunto, capisco come tutta una serie di cose fatte e di scelte compiute stessero già a indicare chiaramente una certa direzione. Ma all’epoca non ne ero certamente conscio.Nel corso dei miei studi per esempio c’è stata una grossa parte di tempo dedicata alla studio del paesaggio nella pittura medievale e moderna. A seguire, nelle varie specializzazioni fotografiche, ho sempre approfondito questioni che avevano a che fare con vari generi, e tra questi c’era sempre anche il paesaggio. Però ancora non mi definivo né mi sentivo un fotografo paesaggista, anzi, l’ambito nel qualche mi muovevo maggiormente e con più soddisfazioni era quello della ritrattistica. Poi però un giorno la sensazione che qualcosa stava cambiando mi arrivò nitidamente. Era una giornata di Novembre, tipo queste qui di adesso, ma del 2009. All’epoca non vivevo in Italia, ero di passaggio per fare un saluto. Ricordo che camminavo lungo un sentiero in un bosco di castagni sulle nostre colline, pioveva, era umido, ogni tanto un pò di sole, tante foglie per terra, la tipica giornata autunnale, niente di eccezionale. Eppure, per la prima volta, mi resi conto della capacità che avevo di decifrare quello che vedevo attorno a me. Fu un pò come se qualcuno avesse acceso una luce. Dalla presenza di un certo tipo di alberi potevo capire che tipo di cultura si fosse sviluppata nel passato di quella zona, potevo vedere di che colore fossero le travi nelle case delle persone del luogo, e anche quale fosse stato il menù delle loro tavole, probabilmente senza grandi cambiamenti per parecchi decenni. Non occorreva in effetti un grande spirito di osservazione, bastava guardarsi attorno. Ricordo che a partire da quell’episodio, e per i giorni a seguire, sensazioni di questo tipo si susseguirono rapidamente. Dalla posizione di una vigna potevo orientarmi e localizzare i punti cardinali, dalla specie arboree potevo stabilire grosso modo l’altitudine alla quale mi trovavo, e una volta stabilita questa potevo tornare a guardare le vigne e capire così se mi fossi trovato in una zona di inverni rigidi o moderati. Ogni elemento del paesaggio parlava ed era il portavoce di una storia. Non era più una storia singola, come spesso capita nei ritratti, bensì una storia collettiva. È stato allora che ho capito come il paesaggio fosse non tanto la bella veduta da spedire come cartolina, ma l’espressione di un rapporto continuo tra la storia di un luogo e l’ambiente nel quale si forma. Questo tipo di approccio può ovviamente essere portato avanti in qualsiasi parte del mondo, certo è che devi conoscere la cultura di quel particolare luogo per poterla rintracciare sul territorio. Per questo motivo io sono rientrato alla base, e da qui poi sono ripartito alla ricerca di questi elementi”.
Nel vasto mondo della fotografia come si colloca il fotografo che si occupa esclusivamente di Paesaggio?
“La fotografia di paesaggio è un genere relativamente poco conosciuto, continua a valere l’idea che la fotografia di paesaggio sia quella che si fa andando a spasso e scattando una foto quando ci troviamo di fronte a un bello scenario, un approccio che va bene giusto per una foto ricordo. Nella fotografia di paesaggio la foto stessa arriva per ultima, è il prodotto di tutta una serie di considerazioni nate da analisi del territorio: non è che debbano essere per forza cervellotiche o difficili queste riflessioni, anzi, sarebbe auspicabile il contrario, ma delle riflessioni dovranno pur esserci”.
“Paradossalmente, a me che un posto sia bello o brutto – senza entrare nel merito di queste categorie – interessa poco o niente. Mi interessa che esprima bene le sue caratteristiche, starà poi a me trovare il modo di renderle con un linguaggio estetico adeguato”.
Che tipo di fotografia è quella legata al Paesaggio, ovvero, che cosa cambia (se cambia) nella tecnica, nel modo di approcciarsi al soggetto, per esempio?
“La cosa che contraddistingue la fotografia di paesaggio dagli altri generi è proprio tutta la parte che a prima vista non fa parte della fotografia. Invece è proprio lì che fonda la sua specificità, ignorare questo, al giorno d’oggi, è un pò grave. Da un punto di vista tecnico è una fotografia lenta, si usa il cavalletto, si previsualizza tanto prima di scattare. È un genere particolare, o ti piace … o proprio non ne capisci il senso”.
Nel tuo modo di raccontare il Paesaggio e dai tuoi ultimi progetti si capisce che il tuo sguardo si spinge molto più in là del soggetto in sè, in particolar modo si spinge a indagare il rapporto tra uomo e natura. E’ così?
“Direi proprio di si, il vero soggetto nel mio – ma non solo nel mio – lavoro è proprio il rapporto tra l’uomo e il mondo che lo circonda. È da questa relazione che si forma poi il paesaggio. I territori attorno a noi sono l’espressione di pratiche di utilizzo che possono essere datate a secoli fa così come essere anche molto recenti. Come che sia, il paesaggio tiene traccia di tutto. È tutto lì, basta saperlo vedere, un pò come seguire delle orme su una pista: chi è bravo può arrivare molto lontano”.
Corsica e L’Agglo, che tipo di progetti sono stati?
“Sono due progetti simili ma diversi, in Corsica ho iniziato una lettura del territorio francese che poi si è spostata sopra Parigi e che vedrà in futuro altre tappe. Il lavoro Corso è stato fatto nella primavera 2018, con due settimane di tempo a disposizione. E lavorando con banco ottico a pellicola, la macchina più lenta che esista. Se scatti una media di 10 fotografie al giorno sei già su medie altissime, è veramente un modo tutto particolare di lavorare: la pellicola costa molto, non puoi e non vuoi sprecarla, quindi ogni foto è attentamente pensata e valutata prima di essere scattata. Inoltre la macchina stessa è molto lenta da gestire, quindi se hai fretta hai già sbagliato in partenza. È vero però che questa modalità di lavoro ti aiuta a sviluppare una sensibilità visiva enorme, certo, scatti poco, ma con una tale concentrazione che raramente, quando riguardi i negativi, ti chiedi che senso abbia avuto fare quella fotografia. In effetti, se ci pensiamo bene, non è così limitante come mondo. Supponiamo di fare 10 scatti al giorno (e sono tanti, ma per avere un’idea), per dieci giorni di lavoro, otterremo 100 fotografie. Se sono scattate in modalità distratta – come capita in digitale – ne avremo forse 10 buone. Se sono scattate in modalità super concentrazione come con banco ottico a pellicola ne avremo in teoria almeno 50 molto buone. E 50 fotografie molto buone basterebbero già per fare un libro. La lezione che si impara è quindi questa: scattare meno, scattare meglio”.
Che cosa vedremo in mostra e come è nata la collaborazione con il Photolux?
“La collaborazione con il Photolux è nata un pò per caso, nel 2017. Durante le letture portfolio ebbi modo di far vedere il mio lavoro a varie persone, tra cui Marcel Fortini, direttore del Centro della Fotografia Mediterranea – di Bastia – e Fred Boucher, direttore del Centro Diaphane – di Clermont de l’Oise in Piccardia. Grazie ai loro voti, più quello di qualche altro giurato, ho avuto la possibilità di essere selezionato tra quelli con i migliori portfolii e così vincere una residenza in Corsica nella primavera del 2018. Poi, nell’estate del 2019, sono stato invitato per due mesi in Piccardia, ma questa mostra è ancora in fase di progettazione. Rimanendo per adesso sulla Corsica posso dirvi che la mostra allestita alla Ex – Cavallerizza comprenderà circa 15 scatti realizzati durante il mio soggiorno e rappresenta l’inizio di una lettura di quel territorio che vorrei poi proseguire per renderla più lunga e ampia. Qui comunque sono già in luce le coordinate che mi interessano, dalla densità urbana all’urbanizzazione delle campagne, dalle nuove attività agricole all’abbandono di altre pratiche agro silvo pastorali. Si sta iniziando a usare una parola che rende bene questi territori, vengono chiamati paesaggi rurbani, esprimendo così quella dimensione a metà tra città e campagna”.
La mostra “Nel corso del tempo – Il Paesaggio Rurbano dell’Alta Corsica’ rimarrà allestita a Lucca, nei locali dell’Ex cavalerizza in Piazzale San Donato, dal 16 novembre all’8 dicembre con i seguenti orari: dal Lunedì al Venerdì 15.00 – 19.30, Sabato e Domenica 10.00 – 19.30.