Intervista a Daria Guidetti, astrofisica, divulgatrice, conduttrice e mamma!

Quando pensiamo alle stelle o siamo convinti che si tratti di questioni che, da Galileo in poi, riguardano solo pochi iniziati o fissati del telescopio o ci ricordiamo che è a riveder le stelle che Dante esce al termine del viaggio nell’Inferno, e le associamo dunque alla luce ritrovata, anche metaforicamente, dopo tanto buio e tante miserie umane; oppure facciamo prevalere il lato edonistico di noi e decretiamo che le sole stelle da considerare sono le star di Hollywood o del pallone.

A meno che non si incontri una persona come Daria Guidetti, toscana di Empoli, una delle più note astrofisiche e divulgatrici scientifiche italiane e astrofisica presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). (http://www.inaf.it/it)

Una come lei aiuta a comprendere quanto possa essere emozionante anche solo provare a comprendere almeno alcuni dei segreti del Cosmo. E come osservare i cieli possa dare risposte utili anche per la Terra, soprattutto se si deve conciliare la professione con una famiglia, con la voglia di cimentarsi in sempre nuove sfide, talvolta con stereotipi e pregiudizi.

Laurea e Dottorato di ricerca in astrofisica, master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza, Daria si definisce un’astronoma romantica. E, aggiungeremmo noi, capace di alternare profondità degli studi e gusto per la popolarità. Daria è capace di passare dalla firma e dalla conduzione del programma televisivo nazionale “Destinazione Spazio”, in onda su Reteconomy nel 2018, all’attività di ricerca vera e propria, svolta primariamente presso l’Istituto di Radioastronomia di Bologna (INAF), che riguarda in particolare lo studio di galassie con buchi neri attivi nelle onde radio e nei campi magnetici. Alla fisica dei campi magnetici, fra l’altro, ha dedicato quella che è stata giudicata la migliore testi di dottorato italiana dai giurati del premio nazionale “V. Ferraro”, nel 2012. Per terminare questo breve cursus honorum, ricordiamo che la Guidetti è membro del Gruppo Astrofili di Montelupo Fiorentino, con cui ha monitorato e scoperto diversi asteroidi, e del Nuovo Gruppo Astrofili di Arezzo.

 

Daria, quando è nata la tua passione per le stelle e quando hai deciso che sarebbe stata la tua strada?

“Quando avevo 5 anni ho fatto un sogno: ho sognato di volare nello spazio, tra i pianeti del Sistema Solare, senza tuta spaziale. Fluttuavo, non conoscevo bene come fossero fatti quei pianeti, ma ricordo di aver visto tanti colori e dettagli. A un certo punto, per la stanchezza, mi sono fermata. Mi sono seduta a cavalcioni degli anelli di Saturno a contemplare il Sole e tutto il resto. Quando mi sono svegliata il sogno era sempre vivido e ho pensato “da grande voglio capire che cosa ho visto”. E la passione per l’Universo è cresciuta con me”.

Come si conciliano vita privata e professionale?

“A volte non è facile, per via di tanti viaggi, corti e lunghi. Mi ritrovo spesso a fare le borse, anche perché oltre agli spostamenti per lavoro, viaggio anche per andare a trovare la mia famiglia in Toscana, oppure in Lombardia, dove abita quella del mio compagno. Anche lui è un ricercatore, quindi il mondo della ricerca è una realtà che ci appartiene a entrambi e facilita le cose”.

Com’è essere mamma e scienziata?

“Bellissimo. Sono due aspetti che si alimentano a vicenda. Fare la mamma aiuta a sviluppare competenze “multi-tasking”, a fare più cose in parallelo. Il “mestiere” di mamma andrebbe inserito nel curriculum! Nei giorni in cui non ci sono viaggi, fare ricerca diventa un lavoro “normale” da ufficio. Ma quando si parte in missione (e capita frequentemente) bisogna sapersi organizzare. Oggi mio figlio ha 7 anni e finora non ho mai avuto una baby-sitter, e non abbiamo nemmeno i nonni a disposizione, perché abitano lontani. Diciamo che noi genitori siamo stati bravi. Mio figlio poi si è abituato a vedere la mamma in viaggio, ma è una cosa che vive molto bene. Poi oggi, con le connessioni Internet, le distanze si abbattono. Quando era piccolo, ovviamente sono stata molto presente. Sono molto contenta, per esempio, di essere riuscita ad allattare fino a tre anni compiuti”.

Cosa consigli a una ragazza che vuole iniziare una carriera scientifica?

“Prima di tutto di credere in se stessa, di non tirarsi indietro se vede che per le donne le carriere possano essere più difficili da perseguire. Di essere disposta a viaggiare e a vivere all’estero, anche per periodi lunghi”.

Quali sono i lati positivi e le soddisfazioni di questo lavoro?

“Nel mio caso, si tratta di un lavoro che nasce da un grande passione, quindi già di per sé è una soddisfazione svolgerlo. Poi mi piace viaggiare, sono curiosa, mi piace imparare cose nuove. È come se fosse un lavoro che si rinnova sempre e mi fa innamorare continuamente. L’astronomia ha il pregio di essere una scienza multidisciplinare; ingloba tutta la fisica (classica e relativistica), la chimica, la geologia e da qualche anno anche la biologia.Ma al tempo stesso, è anche una scienza “intima”: interrogarsi sul Cosmo fa fare viaggi interiori”.

Nel settore della ricerca scientifica esiste una disparità uomo/donna? E quali sono i motivi che non permettono alle donne di essere presenti in modo adeguato?

“Sì, esiste eccome e a più livelli. Prima di tutto sono soltanto il 30% le ragazze che all’università si iscrivono a corsi di scienza e tecnologia (le cosiddette materie STEM, scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Perché? Vari studi sociologici concordano sull’influenza importante degli stereotipi di genere a partire dall’infanzia, ovvero l’idea che la scienza e la tecnologia siano cose per maschi. Sono idee (fuorvianti) che nascono nella società, vengono diffuse dai media, investono la famiglia. Le bambine possono far proprie queste idee, senza accorgersene, finendo per sentirsi indietro rispetto ai maschietti in queste materie e non vedere seriamente la possibilità di una futura professione scientifica/tecnologica. Ma le cose stanno cambiando, ci sono tanti progetti didattici e divulgativi per una scienza inclusiva, allo scopo di cercare di smantellare gli stereotipi di genere in questo senso. Non c’è niente che predisponga il sesso maschile alla scienza. Le ragazze sono brave quanto i ragazzi nelle materie STEM e dovrebbero inseguire le “loro” passioni, senza subire influenze esterne. A livello più alto, poi, si nota che sono poche le donne che, proseguendo la loro carriera, arrivano a ricoprire ruoli di rilevo. Non solo nella scienza, ma anche nei settori umanistici. Anche qui i fattori sono molti. La famiglia gioca senz’altro un ruolo: una donna è al massimo della creatività come ricercatrice proprio nello stesso periodo in cui mette su famiglia. Il rischio di essere meno competitiva rispetto a prima è forte. Negli ultimi anni sono state messe in piedi varie iniziative per favorire l’uguaglianza di genere nelle università e nei centri di ricerca, che tengono conto anche di questo. Ma serviranno ulteriori azioni”.

Hai mai incontrato pregiudizi?

“Sul lavoro, fortunatamente, non li ho vissuti sulla mia pelle, o almeno non me ne sono accorta. Semmai ci tengo a segnalare che il pubblico e gli studenti a prima vista non pensano che io sia una scienziata. C’è sempre un po’ l’idea che gli scienziati vivano “fuori dal mondo”, che siano anziani o trasandati. Io seguo molto la moda e curo il mio aspetto, mi piace ma lo faccio anche di proposito per sottolineare un’immagine diversa dagli “stereotipi”, appunto. Cosa che serve anche ad avvicinare le nuove generazioni”.

La divulgazione scientifica ha un ruolo sociale?

“Eccome. Da un lato credo che sia importante diffondere la cultura scientifica. Non tutti dobbiamo diventare scienziati, ovviamente, ma avere almeno una conoscenza scientifica di base è necessaria per fare scelte consapevoli: quelle che riguardano noi stessi, la nostra salute, quella del nostro pianeta, la nostra vita sempre più tecnologica, per capire il dibattito scientifico tra gli scienziati, le problematiche politiche, etiche. Pensiamo per esempio ai temi attuali della vaccinazione, dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Sembra che Ipazia di Alessandria (filosofa e astronoma del 400 circa) sostenesse che “la cultura rende liberi” e per questo istruiva le persone anche per strada. Sono d’accordo.Inoltre, la divulgazione scientifica può anche promuovere la ricerca stessa, per esempio creando un terreno culturale favorevole alla scienza, cancellando i pregiudizi nei confronti di essa e degli scienziati (c’è l’idea che siano al soldo delle multinazionali, in particolare per quanto riguarda i settori della medicina, della chimica, ecc. oppure che la ricerca, tipo l’astrofisica, è affascinante ma non è utile).Se la divulgazione, verso il pubblico e le scuole, riesce a invertire queste tendenze, allora la ricerca può trarne beneficio, perché il dibattito scientifico nel tempo si sposta a livelli più alti, favorendo finanziamenti. La divulgazione è un investimento, anche se a lungo termine”.

Quali sono, oggi, i luoghi in cui si svolge la divulgazione scientifica?

Soprattutto a livello nazionale. La mia attività come divulgatrice è piuttosto variegata. Tra i progetti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, presso cui lavoro, sto partecipando allo sviluppo di un exhibit di realtà virtuale per trasportare le persone nei luoghi remoti dei grandi telescopi. L’utente si immergerà in un’altra realtà dove le percezioni dei 5 sensi vengono sostituite e potrà apprendere tante cose. È stato molto divertente scrivere la sceneggiatura! Non vedo l’ora di provare anche io questa esperienza una volta terminata. Inoltre, in quanto membro del progetto europeo Space Surveillance and Tracking (la rete europea per il monitoraggio degli oggetti in orbita) sto preparando varie cose per far conoscere al pubblico il problema dell’inquinamento spaziale. Sempre più serio e urgente da risolvere. Sul fonte didattico, da anni sono attiva nelle Olimpiadi Italiane di Astronomia e collaboro con il CNR di Bologna per far conoscere il mondo della ricerca agli studenti delle scuole medie e superiori. Lo scorso febbraio ho tenuto un intervento nella scuola media di San Miniato F. Sacchetti a parlare di donne e scienza. È stato divertente. Mi piace parlare ai ragazzi e loro mi fanno crescere tanto. Nel tempo libero tengo conferenze un po’ su tutto il territorio nazionale, scrivo articoli, ho partecipato a trasmissioni televisive, ho anche scritto e condotto un programma tv, “Destinazione Spazio”, sull’emittente nazionale Reteconomy, proprio per divulgare l’astronomia e l’esplorazione spaziale. Attualmente sto scrivendo un libro, ma non posso dire di più. Di recente sono stata a Montelupo Fiorentino, presso l’Osservatorio Astronomico Beppe Forti, a parlare di Marte, dei marziani, e tutta l’Italia che c’è (ricercatori, industrie) nell’esplorazione di questo pianeta. Noi italiani abbiamo fatto e stiamo facendo scoperte importanti. Facciamole conoscere!”

Come immagini il tuo futuro?

“Bella domanda. Sono una visionaria, potrei raccontare tante cose, ma le tengo per me.Come quando si esprime un desiderio alla vista di una stella cadente. Non va detto, finché non si realizza!”

Vuoi aggiungere qualche aneddoto o curiosità?

“Fare divulgazione ai bambini è molto divertente. Una volta ho spiegato che Saturno ha una densità media inferiore all’acqua, per cui galleggerebbe in un oceano molto grande.Un bambino commentò dicendo: “Per forza, ha la ciambella”, riferendosi agli anelli del pianeta. Da allora racconto questo episodio, che fa sempre sorridere. E prima di ogni mio intervento, guardo il cielo per un istante.È una forma di connessione con esso, come se volessi stabilire un ponte. A quel punto, è come se iniziassi un viaggio spazio-temporale.Non so spiegarlo meglio, sono perfettamente centrata sulle cose da dire e sulle richieste del pubblico ma è come se fossi sul pianeta o la galassia di cui sto parlando”.

 

 

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