I luoghi straordinari, in Italia, li incontri poco fuori dalla porta di casa, non importa andare chissà dove.
Muovi qualche passo in una direzione qualunque, pedala, cammina, corri senza una meta precisa e lascia che sia la vita a mostrarti il sentiero, vedrai che non te ne pentirai.
Sei in piedi di fronte a me e osservi con sguardo perplesso il sellino di una mountain bike che di primavere ne ha viste quasi quanto noi e gli assesti un paio di colpi mentre ti sistemi sul volto la mascherina un po’ stropicciata.
– Sei pronto?, mi dici.
Esito un po’ prima di rispondere perché le parole da dire sarebbero troppe e mi muoiono tutte in gola.
Annuisco sorridendo comunque, e faccio l’unica cosa sensata: inforco il bolide seguendoti sui pedali.
Il sole del primo pomeriggio di una giornata limpida e tersa benedice la campagna toscana con una carezza amorevole.
– Ti porto in un posto incredibile.
Pedalare col vento tra i capelli, inebriato dal profumo familiare degli alberi che conosco mi ricorda che tutta la libertà dell’universo sta in momenti come questo: in un sorriso, nella gioia che provi a esser libero nel mondo dopo un tempo infinito passato a fissare le pareti stringenti di una casa minuscola.
Seguiamo un’insegna che punta verso il Padule, zona Capannori, un piccolo comune della provincia di Lucca famoso principalmente per le sue cartiere.
Le chiacchiere che senti in giro descrivono la zona del Padule come un luogo inutile e pieno di zanzare ma a me, dei discorsi da bar, è sempre importato poco, e se tu dici che è un bel posto, io ci credo, perché condividiamo la stessa idea di bellezza.
Campi aperti all’infinito solcati da trattori chiassosi che smuovono un bel po’ di terra si stemperano nella vegetazione rigogliosa dei monti pisani che dominano lo sfondo incorniciato da un cielo cristallino trasparente come l’anima di un bambino.

Il Serra, facilmente riconoscibile dalle antenne che puntano verso il cielo, si avvicina lentamente mentre pedaliamo in mezzo a due file di pioppi che spargono nell’aria un po’ di polline.
– Ci vengono in pochi da queste parti ma è un posto bellissimo. Certo, le zanzare d’estate ti mangiano, ma dov’è che non le trovi? E poi…
Smetti di parlare e rimaniamo ad ascoltare il rumore del vento interrotto dal pigolio di alcune rondini che aspettano il cibo dentro un nido infilato con grazia tra un paio di rami.
– …la pace che trovi in un luogo simile è unica, poi dici.
Ti guardo e annuisco. Le parole oggi continuano a sfuggirmi. Mi accade di sovente quando sono troppo impegnato a vivere.
– Non te la puoi proprio immaginare una cosa simile!, ribadisci con entusiasmo.
Scompari in un viottolo stretto che si incunea nella vegetazione e io ti tengo dietro domandandomi se il lago immenso, comparso dal nulla, su cui poso gli occhi, sia realmente lì di fronte.

L’acqua ha il colore del fondale fangoso ma il colpo d’occhio è straordinario.
– Benvenuto al Lago della Gherardesca!, mi dici.
Facciamo un video, prima di perderci nel silenzio del mondo.
Alcuni aironi giocano a rincorrersi e svolazzano annoiati sulla superficie increspata dal vento e gli alberi continuano a parlarsi, incuranti della nostra presenza.
Siamo ospiti su questo mondo e non padroni.
Te lo ricordano con gentilezza le carezze dei rami che si allungano fin quasi a terra.
Le apuane e il profilo inconfondibile della Pania della croce che si staglia nel cielo impaziente del tramonto, mi ricordano che dopo tre mesi di solitudine forzata, trascorsa tra le pareti di una minuscola mansarda, sono finalmente a casa.
Pedaliamo da più di due ore ma non ci fermiamo.
La strada si inerpica prima di ricongiungersi a un tratto asfaltato nei pressi di Pieve di Compito, zona bellissima.
Una pianta di rose travalica il muretto di pietra di un rustico toscano circondato da un prato enorme. Ne respiriamo il profumo pedalando tra case antiche tempestate da un tripudio di fiori prima di ricongiungerci all’anello di sterrato che lentamente ci riporta sui nostri passi.

Smontiamo dalle bici esausti, una pacca sulle spalle, qualche parola di vita.
Tu mi saluti dal cancello, non possiamo abbracciarci.
Non oggi, non ancora, ma lo abbiamo fatto, in un certo senso, sotto gli occhi ridenti di quell’angolo nascosto d’Italia che hai deciso di regalarmi.