A Bova, in Calabria, i giovani fanno rivivere la mietitura della tradizione (reportage)

grano all'aia calabria

A Bova, Calabria, uno dei borghi più belli d’Italia appoggiato sul dorso del maestoso e brullo Aspromonte con vista mozzafiato sul Mar Ionio, è avvenuto un evento eccezionale, o, come diremmo noi, STRA-Ordinario.

Dopo 16 anni dall’ultima mietitura svoltasi nel comune, quattro giovani ragazzi, Natale, Angelo e “i due” Giovanni – quest’ultimi giovanissimi – amici e cugini tra loro, hanno voluto far rivivere la mietitura. Come? Proprio come si faceva una volta in questi territori, oltre 50 anni fa, e così come la facevano i loro nonni. Noi abbiamo partecipato in presa diretta, provando personalmente le varie fasi, per potervi raccontare l’esperienza al meglio. Per onestà giornalistica, dichiaro subito il conflitto di interesse: uno dei protagonisti di questa storia, Natale, è il mio compagno, ma d’altronde, senza un gancio speciale era praticamente impossibile partecipare a un evento del genere. Potevamo mancare? Direi di no.

(Per leggere l’intervista ai ragazzi che hanno organizzato la mietitura clicca qui https://www.lordinario.it/persone-personaggi/rivive-la-mietitura-a-mano-intervista-ai-4-giovani-fautori-speriamo-di-incentivare-nuove-generazioni-reportage-parte-2/ )

I protagonisti della mietitura
I 4 cugini fautori della mietitura. Da sinistra, nell’aia appena compostata, Giovanni D’Aguì, Natale D’Aguì, Angelo D’Aguì e Giovanni Callea_Ph. Romina Lombardi

Per trasportarvi “addentro” – come direbbero gli antichi – questa storia, ve la raccontiamo passo passo, come una sorta di diario.

LA PARTENZA – 13 LUGLIO SERA

Con la volontà di calarci subito nell’atmosfera, per arrivare in Calabria abbiamo deciso di utilizzare, come mezzo, l’autobus, come fanno ancora oggi molti degli abitanti della zona che, appena possono, rientrano dal nord, dove si sono trasferiti quasi sempre per un motivo: il lavoro. Ogni tanto scendono a recuperare il cuore, che è rimasto decisamente al sud. Per questo gli autobus sono pieni e bisogna prenotare per tempo. Con noi viaggiano persone che vanno dai 2 anni agli 85. E non è un dato di poco conto, considerando il tempo di percorrenza: dalle 14 alle 15 ore. E noi siamo partiti da Pisa, quindi avvantaggiati. Chi parte da Torino o Milano, impiega molto di più.

La notte scorre via, un pò lenta, un pò veloce, sulla strada. Qualcuno ha voglia di parlare, con accento inconfondibile, eccitato dal rientro. Altri tentano di dormire. Le soste, in autogrill, sono molte. Per quanto comodi i sedili, dormire è un miraggio. La mattina di domenica 14 luglio, alle 8.30, scendiamo finalmente a Bova Marina. Il signore di 85 anni è visibilmente più in forma di noi. La tenacia dell’abitudine. La nostra intenzione è quella di riposare qualche ora, poi, nel pomeriggio, sopralluogo nei campi e briefing organizzativo con gli altri ragazzi per iniziare l’indomani mattina la mietitura. Da Bova Marina prendiamo un passaggio per Bova, il borgo-gioiellino a 915 metri sul livello del mare. Tempo di percorrenza 20 minuti. Peccato per le strade…

Nota: Solitamente la mietitura si tiene la prima settimana di luglio, ma, a causa delle piogge estive e dello Scirocco, il grano non ha raggiunto il grado di maturazione perfetta in quella settimana, per cui si è deciso di rimandare di una settimana il lavoro.

LUNEDI’ 15 LUGLIO – MARTEDI’ 16 LUGLIO. Riprendo quanto sopra: il tempo ci ha letteralmente fregato. Una perturbazione, con pioggia a tratti e abbassamento di temperatura, ha impedito l’inizio dei lavori. Natale, Angelo e i due Giovanni si incontrano spesso per capire il da farsi. C’è amarezza e ansia per il raccolto. Freddo e pioggia non portano niente di buono al grano. Che, comunque, passata l’acqua, dovrà asciugarsi bene prima di essere raccolto. I ragazzi tentano di ri-organizzarsi, guardando minuto per minuto le previsioni meteo sui propri cellulari, calcolando il tempo di asciugatura e ripercorrendo la lista degli “aiutanti volontari” da avvertire per il giorno stabilito per la mietitura collettiva (già, ma quale? Siamo in balia della pioggia!).

Approfitto della forzata inattività per parlarvi della SEMINA, operazione a cui noi de L’Ordinario non abbiamo assistito. Si è tenuta a Novembre, esattamente il 27. I ragazzi hanno scelto due tipologie di semenza:

1 SENATORE CAPPELLI, un grano duro tra i più antichi e di grande qualità. Del Senatore si erano perse un pò le tracce, ma per fortuna, negli ultimi anni, in molte regioni è stato recuperato.

2 MAIORCA, un grano tenero, anch’esso antico, tipico delle regioni Puglia, Calabria e Sicilia.

Due scelte diverse e mirate. La semenza del Senatore Cappelli è arrivata addirittura dal Piemonte e non è stato semplice reperirla.

MERCOLEDI’ 17 LUGLIO. Il sole splende e picchia forte, finalmente. Gli animi si rasserenano, l’amato bene asciuga adeguatamente, pare. L’ettaro di grano, suddiviso in due terreni differenti, ci attende. L’appuntamento è fissato per le ore 14.30. E’ una sorta di prova generale, ci si ritrova nel terreno più piccolo per verificare la reale possibilità di mietere. A raccolta, per questa prima fase, sono chiamate “solo” le famiglie, i parenti stretti dei ragazzi e un amico esperto mietitore, Leo. In tutto, una quindicina di persone. Si comincia!

Mi insegnano a mietere, mi hanno addirittura comprato una falcetta personale. Ne sono onorata. Ho un rispetto immenso per la terra e per chi sa coltivarla e amarla, per cui, non lo nascondo, mi sento un pò come prima di un esame. Natale mi mostra come prendere la spiga: mazzetti piccoli da impugnare con forza con la mano sinistra (se si è destri) e da falciare con decisione il più possibile vicino alla base.Fatti tre o quattro mazzetti (ovvero finchè si riesce a tenere tutto in una mano), si poggiano, a mò di fascetta, in terra. Attenzione, pena l’odio di tutti: i fasci in terra vanno rigorosamente poggiati con le spighe rivolte verso EST, dove nasce il sole.

Una volta preso confidenza con il movimento, tiro un sospiro di sollievo e comincio seriamente a divertirmi. Ma i veterani alzano la posta in gioco per i più giovani: cominciano a snocciolare i termini antichi con cui si indicano nella mietitura tradizionale le varie unità di misura  – che qui sono in lingua grecanica – (mica una cosa semplice ndr.).

grano
Una bella immagine di 4 mietitori: Lello, Leo, Natale e Totò_Ph. Romina Lombardi

Ecco, il tutto si complica. Provo a spiegarvi.

Quando si miete, la prima unità di misura di riferimento qui è la Puzata, ovvero il mazzettino lasciato da ogni mietitore dietro le proprie spalle. Più puzate insieme formano il Farzomu, ovvero uno dei tre fasci più grandi che i “legatori” vanno poi a unire. Tre Farzomi insieme si chiamano Iermiti.

Se non vi siete ancora persi, ho un’altra chicca per voi: la legatura (e un’altra unità di misura!). Dietro ai mietitori ci sono infatti sempre i legatori. Chiudono le fila e sono un pò come degli angeli, perchè tirano la somme del lavoro.

I mazzetti di grano, infatti, vengono legati insieme intrecciando (in modo spettacolare) il grano stesso (ci vuole almeno un’ora di lezione-pratica per imparare, non crediate!), o con ginestra comune (nome scientifico Spartium Junceum, ma il nome deriva dal greco Sparton o spartion con il quale i greci denominavano diverse piante a forma di giunco. Sparton significa anche corda, guarda caso.) o con l’erba tagliamani (nome scientifico Ampelodesmos Mauritanicus. Tagliamani invece si capisce al volo!).

Con un fascio da 3 Iermiti si compone una GREGNA, l’unità di misura più grande: per intenderci tra noi non addetti ai lavori, sono i fasci grandi che poi vengono caricati sui trattori per essere portate all’Aia, anch’essi tenute insieme con tagliamani o ginestra. Tornando più indietro nel tempo – e per completezza di cronaca – fare un fascio così grande serviva per risparmiare tempo quando, all’epoca, veniva trasportato sulla testa per raggiungere a piedi l’aia dai campi. E, udite udite, sulla testa li portavano le donne!

legatura grano
Nella foto Domenico D’Aguì, un esperto mietitore e legatore_Ph. Romina Lombardi
grano, generazioni a confronto
Generazioni a confronto. Giovanni D’Aguì, tra gli ideatori dell’iniziativa, impara da Domenico a legare insieme i fasci di grano. La legatura diventa sempre più difficile man mano che il fascio si ingrandisce_Ph. Romina Lombardi

La prova generale scorre via veloce, l’appezzamento di terra più piccolo viene completato, il grano si può ufficialmente raccogliere. Si decide quindi di proseguire la mietitura nei terreni più grandi, dopo una breve pausa. Il pomeriggio procede bene, si lavora alacremente e allegramente, i veterani intonano canzoni popolari. Intanto si definiscono i dettagli per il giorno dopo, quello scelto per “l’Angaria”, ovvero la raccolta “collettiva”.

GIOVEDI’ 18 LUGLIO – L’ANGARIA O ‘NGARIA

Bello mietere il grano, al risveglio del giorno dopo un pò meno! Per essere una che non la ho mai fatto ho “tenuto botta” discretamente, ma oggi i miei muscoli, dalla testa ai piedi, urlano vendetta. Ci facciamo una bella risata e tentiamo di alzarci. In posizione verticale, dopo un pò, la situazione migliora. Me la prendo con comodo però, devo rivedere le foto del giorno prima (è una buona scusa almeno!), intanto i ragazzi vanno a finire la Rasula (terrazzamento ndr.) lasciata incompiuta il giorno prima. C’è eccitazione nell’aria: oggi è il gran giorno, il giorno ribattezzato della ‘Ngaria. La terminologia arrivata fino ai giorni nostri rimanda un significato di sopruso, costrizione al lavoro, qua viene usata invece nel senso positivo di lavorare tutti insieme. Presto capirete…

Verso le 12.00 i ragazzi rientrano. Pensate che l’allegra combriccola si sciolga? Assolutamente no! La regola è che quando si lavora insieme si mangia anche insieme. Durante il periodo della mietitura, la casa più vicina ai lavori appartenente alle famiglie organizzatrici ospita i mietitori. Oggi tocca a Maria imbandire la tavola. Ricordatevi: in ogni casa, a Bova, pranzo veloce non è mai sinonimo di pranzo improvvisato. Sulle tavola c’è sempre ogni ben di dio. Oggi, per esempio, per pasto veloce si intende: pasta con pomodoro fresco appena raccolto, basilico e cipolla dell’orto, salumi e formaggi fatti in casa, pane cotto nel forno a legna, olive grandi nere e verdi della raccolta di novembre (creano dipendenza ndr.), primizie di stagione per quanto riguarda la frutta. Il numero dei commensali è sempre variabile, e le donne di casa non sanno mai il numero preciso fino all’ultimo. Ma, per questo, non si scompongono nemmeno un capello. A Bova, essere in 5 o in 25 a tavola è la stessa cosa: la pancia si riempie (tanto) comunque!

Alle 14.00 in punto cominciano ad arrivare gli aiutanti “volontari”. Qualcuno è rientrato addirittura prima dal nord proprio per partecipare a questa giornata storica. A un certo punto, nel pomeriggio, qui, sui terrazzamenti di grano vista mare, mi metto a contare: siamo 42, compresa qualche quota rosa.

grano vista mare calabria
Uno scorcio dei campi di grano di Bova che affacciano sul Mar Ionio con i mietitori Natale, Totò, Lello e Leo all’opera_Ph Romina Lombardi
mietitura collettiva a bova calabria
Un’immagine ripresa dall’alto di uno dei gruppi di mietitori volontari venuti per “l’Angaria”_Ph Romina Lombardi
mietitura grano antico donne
Uno scatto rubato a Franca, nonna dei due Giovanni, ottima cuoca ed esperta mietitrice che ha partecipato a tutta la raccolta_Ph Romina Lombardi
gruppo mietitori
Dentro uno dei gruppi di mietitori in un momento di pausa e risate. Tra loro anche le guide di Naturaliter che da sempre incoraggiano la valorizzazione del territorio e delle tradizioni_Ph Romina Lombardi

Stando qua si avverte una forte energia. Chi è venuto lo ha fatto per amore della terra e per la voglia di recuperare una tradizione, una memoria collettiva, di cui si sente forte la mancanza (come ovunque). Si capisce più che mai che la memoria vuol dire anche storia personale. Un album dei ricordi che sarebbe bello continuare a sfogliare. La fatica è molta per me, ma quando mi volto verso il mare, al suono delle risate e delle falcette, passa subito. Il sole, riflesso sul grano, è meraviglioso. Il caldo, secco, sopportabile. Mietendo incontriamo le piccole farfalle blu, che sono talmente belle e spiccano sull’oro del grano, da sembrare fatine. Incontriamo anche un grillo “bozzone” (in dialetto), cioè un grillo che a differenza del suo simile, lungo e snello, è più tozzo (e simpatico).

farfalla blu grano
Al centro del grano una piccola farfalla blu_Ph. Romina Lombardi
grillo bozzone
Un esempio di quello che qui chiamano “grillo bozzone” in quanto più rotondo del suo simile. Ci ha fatto compagnia durante la mietitura_Ph. Romina Lombardi

L’organizzazione del lavoro è ben suddivisa: gli esperti legatori, che sono pochi, all’occorrenza, lasciano le falcette per occuparsi solo di comporre i fasci, mentre davanti a loro vengono depositate molte spighe. Chi non miete fa i turni per rifocillare di acqua (e qualche frutto) chi lavora. La bellezza è che in questo gruppo ci sono tanti bambini e ragazzini, tutti con la voglia di vedere e imparare. A un certo punto arriva anche un contenitore pieno di buonissime frittelle di fiori di zucca: le ha fatte Carmela, la moglie di Leo.

pausa mietitura
Ogni tanto i gruppi fanno una pausa per bere e mangiare qualcosa. Qua erano appena arrivate, a sorpresa, le frittelle di fori di zucca. Ph_Romina Lombardi
abbeveramento in mezzo al grano
Una pausa per bere in mezzo al grano. L’acqua viene mantenuta fresca in questo contenitore che i mietitori si passano di mano in mano_Ph Romina Lombardi

Contrariamente alle previsioni, il grano viene mietuto tutto e si riesce a finire intorno alle 20.00. Come da tradizione l’Angaria finisce con un pic-nic insieme. Da due ore alcune tra le donne mietitrici sono scomparse dai campi per continuare il lavoro in cucina. Cosa che a loro non pesa assolutamente, anzi. E in effetti, il loro, è un compito di prestigio, il più apprezzato. Spunta un tavolo sulle spalle degli uomini, che viene piazzato in mezzo alla strada che porta alla casa ospite. Con lui tantissime lestopitte (una speciale pasta fritta della zona, buonissima, da abbinare ai salumi o a qualsiasi altra cosa), salumi, formaggi, la speciale parmigiana di zia Franca (da leccarsi i baffi), crostate di susine e torta alla carota fatte in casa da Celestina, Giusi e Bettina (quest’ultime due sono le cuoche ufficiali di questa prima edizione insieme a Maria), anguria e bibite.

Volete comprendere lo spirito di fine giornata? Chi è venuto a lavorare ringrazia della bella giornata come se gli avessero regalato chissà che cosa invece di aver fatto una fatica pazzesca.

cena mietitura
Un momento della cena all’aria aperta dopo la mietitura. Participano tutti, anche bambini appena nati (per crescere bene)_Ph. Romina Lombardi
cena mietitura calabria
Un altro momento della cena, immortalati a sorpresa gli uomini_Ph.Romina Lombardi

IL LAVORO NELLL’A(R)IA

VENERDI’ 19 LUGLIO –  1° GIORNO – PREPARAZIONE TERRENO

Mentre il grano mietuto prende aria e sole per prepararsi meglio a essere separto dalla paglia e regalare il suo miglior chicco, Natale, Angelo e i due Giovanni si apprestano a cominciare la seconda fase del lavoro, fondamentale: la preparazione dell’aia (che qui chiamano Aria), ovviamente rispettando il più possibile le tradizioni. Per fare questo, nei mesi passati i ragazzi, sempre con l’aiuto delle famiglie e degli amici, hanno recuperato – preparando il primo strato di terreno – la vecchia aia, ormai in disuso, situata dove la montagna regala un canalone diretto verso il mare. Cosa primaria visto che deve soffiare un vento adeguato per separare il grano dalla paglia. Ma prima ci sono tante fasi da superare, alcune poco piacevoli ma sicuramente divertenti:

letame per aia
Se il primo strato è fatto di terra battuta che deve essere ripulita da qualsiasi sasso o altro, il secondo strato dell’aia viene fatto con letame di mucca diluito in acqua e impastato con le mani_Ph. Romina Lombardi
letame aia Calabria
L’attimo in cui il letame, diluito, viene gettato,a mano, sulla terra_Ph G. Callea
preparazione aia in calabria
Tutti a piedi nudi! Man mano che il letame asciuga un pò, si ricopre con della paglia e si calpesta, in modo da compattare bene il letame sul terreno_Ph G. Callea

L’aia, la cui terra è stata battuta e pulita nei giorni precedenti, viene composta con uno strato di letame di mucca, diluito in acqua e “impastato” a mano. Questo lavoro non ha avuto moltissime adesioni, ed è toccato interamente ai 4 organizzatori. L’aia viene cosparsa di letame un pezzo per volta, perchè, appena asciugato un pò dal sole, viene ricoperto, a spolverata, da paglia. Se il letame è troppo liquido, il lavoro non riesce bene. Sembra facile…

Man mano che la paglia viene gettata, altri volontari (qui anche io mi sono offerta) calpestano il composto a piedi nudi. Una pratica rilassante e divertente che consiglierei sopratutto a certe persone di mia conoscenza che ogni tanto aspirano un pò troppo all’onnipotenza. Non sono l’unica donna “calpestratrice”, con me c’è Giusi, da cui posso solo imparare. Quando tutta l’aia è finita, verso le 14.00 si va a pranzo insieme, stavolta da “zio Pietro”, la cui casa è sopra l’aia. Nel pomeriggio uscita libera per tutti, oggi deve lavorare solo il sole e seccare bene l’aia.

SABATO 20 LUGLIO – 2° GIORNO- PULITURA AIA E ARRIVO DEL GRANO

Ci si sveglia presto e con una certa adrenalina. Ci si riunisce all’aia. I veterani preparano mazzetti di Nepitella appena raccolta, che, mi dicono, ha anche proprietà disinfettanti. Questi mazzetti saranno le nostre scopette (non potete capire come funzionano bene, provate!) per la pulitura finale dell’aia dalla paglia.

Intanto i ragazzi, insieme ai veterani, cominciano ad andare a caricare il grano nei campi con i trattori. Farlo sotto il sole cocente non è una passeggiata, ma il momento è davvero suggestivo per chi ama la campagna.

Una panoramica del lavoro. Sul tratore Angelo D'Aguì, col cappello Antonio, un altro cugino dei ragazzi che è stato parte attiva della raccolta_Ph. Romina Lombardi
Una panoramica del lavoro. Sul trattore Angelo D’Aguì, e, più in primo piano, col cappello, Antonio, un altro cugino dei ragazzi che è stato parte attiva della raccolta_Ph. Romina Lombardi
trasporto grano con trattore
Sul secondo trattore c’è Natale D’Aguì che in questa foto si è fermato a controllare il carico durante il viaggio fino all’aia_Ph. Romina Lombardi

Ed ecco uno dei momenti tra i più emozionanti: l’arrivo del grano nell’aia!

grano all'aia calabria
Il momento in cui il grano comincia ad arrivare all’aia e viene scaricato_ Ph Romina Lombardi

La giornata continua con carichi e scarichi e un entusiasmo crescente. I fasci di grano vengono disposti con ordine preciso, a cerchio, sull’aia. Verso sera il grano viene battuto una prima volta. Secondo la tradizione antica questo è il momento in cui entrano in scena le  mucche. La grossa pietra che serve a premere le spighe e separe i chicci di grano dalla spiga, veniva infatti trascinata da due mucche che giravano più e più volte in tondo all’aia. I ragazzi, che stanno pensando alle mucche per la prossima raccolta (dopo tutta questa fatica durerà l’entusiasmo?), si aiutano con un motozappa, zampillando fatica a ogni giro. La giornata finisce con un gioco collettivo, dove, anche i più grandi, tornano bambini: si prova a staccare gli ultimi chicchi attaccati alla spiga con i piedi e a suon di…capriole/capovolte!!!

DOMENICA 21 LUGLIO – 3° GIORNO – LA BORIA

Mi verrebbe da dire che chi non assiste alla Borìa, perde un senso profondo della mietitura. E’ un momento davvero magico: l’attimo in cui il vento abbraccia e fa suo il lavoro dei contadini e lo rende bene prezioso, pulendolo dalla impurità. Un legame ancestrale tra natura e uomo che ribadisce la potenza della prima. 

il grano vola nell'aia in Calabria
Da sinistra: Giovanni Callea, Giovanni D’Aguì, Natale D’Aguì e Angelo D’Aguì alzano il grano al cielo mentre il vento lo separa dalla paglia_Ph. Romina Lombardi
La Boria nella mietitura calabrese
Un altro suggestivo momento della Borìa eseguita dagli uomini. Sullo sfondo, in alto a destra, il bellissimo castello normanno di Bova_Ph. Romina Lombardi

La fase di pulitura viene chiamata Borìa dal nome del vento (che tradotto letteralmente sarebbe “arietta”). Un’ arietta non troppo potente che dal mare sale verso la montagna a partire dalle 9 di mattina. In alcuni, rari, giorni, il venticello non si manifesta proprio. Anche da questo elemento fondamentale, un tempo, dipendeva la durata della mietitura.

I forconi di legno (pezzi realizzati con un unico ramo di castagno, per lo più) si elevano in aria. Quanto in aria lo decide sempre il vento: se spira più forte, si alzano meno, se spira piano si alzano di più. Non è un movimento semplice. In realtà, le braccia, alzando i forconi, devono compiere un movimento morbido e fluido che curva sempre verso il mare. Solo così grano e paglia si separano e solo così si evita di disperdere il grano. Nell’aia infatti si dispongono più file di lavoratori, con partenza leggermente ritardata l’uno dall’altro. Chi lavora nelle file esterne ha più responsabilità: il lavoratore verso il mare deve eseguire alla perfezione il movimento per non far cadere i chicchi fuori dall’aia, il lavoratore esterno verso la montagna ha il compito di pulire l’ultimo passaggio del grano e quindi è a lui che si deve il muro di paglia pulita dal grano, in dialetto La Margunata. Vi assicuro che, tolta la fatica, è più facile farlo che spiegarlo.

Paglia nell'aia durante mietitura
Uno scatto che permette di vedere bene il muro di paglia (in dialetto la Margunata), senza più grano, che produce la Borìa. Domenico era l’esterno lato montagna, quindi addetto a questo compito_Ph. Natale D’Aguì

Finita questa parte, quando il grano è sufficientemente pulito e rimane poca paglia, si inizia la fase della pala di legno: si alza il grano e la Borìa porta via le poche pagliuzze rimaste.

Il grano viene separato con la pala
I veterani Domenico e Pietro terminano la Borìa con l’uso della pala di legno, ultimo passaggio prima di toccare con mano il grano prodotto_Ph. Romina Lombardi

CONCLUSIONE – Pomeriggio di Domenica 21 luglio

Finalmente arriva il primo grano. Rispettando la tradizione, Angelo D’Aguì ha costruito una croce con la ferula, da porre sopra il primo mucchio di grano, come benedizione al raccolto. Con tutti gli altri intorno, si fa il segno della croce e disegna una croce di grano anche sul misuratore in ferro, detto Quarto (che porta circa 12Kg).

croce benedizione grano
Ad Angelo è spettato il compito di costruire la croce e di benedire e pesare il primo grano_Ph. Romina Lombardi
La croce viene collocata e il grano pesato_Ph. Romina Lombardi

…. e finalmente….si riempie il primo sacco!

sacco di grano nell'aia
Il primissimo grano uscito da questa mietitura Amarcord. Che sia di buon auspicio alle nuove generazioni_Ph.Romina Lombardi

Se siete arrivati fin qui, siete stati pazienti. Segno che avete voluto fare un viaggio nelle tradizioni insieme a noi. Dopo tanti giorni di lavoro e oltre mille fotografie, l’amore e l’impegno di tutti i partecipanti, non potevamo riassumere questa esperienza in poche righe. Dovevamo raccontarvi proprio tutto.

Questo grano verrà diviso tra le famiglie che hanno lavorato, a uso privato. Il pane, impastato a mano e cotto nel forno a legna, avrà un sapore ancora più buono. Così come la pasta. Questo evento, per certi versi coraggioso perchè non ha temuto la fatica, è una dimostrazione pulsante e reale che ci sono giovani italiani che non solo non se ne vogliono andare dalla propria terra, ma che credono nella ricchezza del territorio di questo Bel Paese (in questo caso davvero).

Che sia di esempio e di ispirazione per tutti i nostri amministratori, per i ragazzini che non hanno mai visto una gallina dal vivo ma conosco tutto del nuovo cellulare e per tutte quelle persone che si accontentano di ingurgitare qualsiasi cibo, senza chiedersi da dove arriva.

Noi de L’Ordinario ringraziamo per l’accoglienza e per la pazienza dimostrata “nell’averci tra i piedi”. Il cuore e la mente si sono arricchiti ancora.

Da Bova vi salutiamo così:

sulla paglia
I Ragazzi, compresi i più piccoli, in un momento di relax_Ph. Romina Lombardi
Foto del gruppo “giovani” sulla paglia_Ph. Romina Lombardi

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