“Tutte le cose sono collegate.
Tutto ciò che accade alla terra,
accade ai figli e alle figlie della terra,
L’uomo non ha intrecciato il tessuto della vita;
ne è solamente il filo,
tutto ciò che egli fa al tessuto,
lo fa a se stesso”
Tratto da “Le mie parole sono come le stelle…”il discorso del Capo indiano Seattle
Tempo addietro sono andata in uno di quei negozi di bricolage per il fai-da-te, che vendono un po’ di tutto, dai prodotti per il giardinaggio, alla mesticheria, ai ricambi elettrici e idraulici per la casa.
Cercavo un lampadario da mettere nel mio bagno che avevo appena riverniciato. Devo ammettere che tutte le volte che mi reco in uno di questi supermarket del bricolage rimpiango i piccoli negozi vecchia maniera, quelli a conduzione familiare, chiusi la domenica, con il personale dietro il banco che è lì, pagato apposta per servirti. Li rimpiango perché in questi negozi si può parlare, chiedere un consiglio, esporre un dubbio, creare un rapporto di fiducia con il venditore, sapendo che ci si rivolge a una persona lì per te, infatti il suo lavoro è servire la clientela per capirne le esigenze e consigliare il prodotto più giusto. E si vede la differenza! Vi dirò di più, questi posti, che ormai rappresentano la “vecchia maniera” di intendere il commercio al dettaglio, non li rimpiango soltanto, ma quando posso ci vado a comprare, anche se spendo di più, perché so che pago non solo ciò che compro, ma anche la competenza di chi mi consiglia negli acquisti.
Torniamo al grande negozio di bricolage che abbassa i prezzi (è vero?!) e dove il fai-da-te non inizia a casa tua, ma, ahimè, già nel negozio, perché se malauguratamente hai un dubbio, non trovi un prezzo o il prodotto a catalogo, parlare con un dipendente diventa un’avventura. E quando lo vedi, in lontananza, con un codazzo di clienti che non lo mollano, provi anche un po’ di pietà. Fortunatamente dopo aver fatto la fila ed un po’ di “processione” seguendolo tra i corridoi delle scaffalature, tocca a me; trovo un lavoratore esausto, che non ha nessuna voglia di ascoltarmi, non perché sia poco zelante o non appassionato del suo lavoro, ma per le condizioni in cui lo stanno facendo lavorare. Ha un telefonino che squilla in continuazione, lo chiamano dalle casse e dal magazzino, poi deve mettere a posto ed organizzare la merce negli scaffali e, dulcis in fundo, rispondere ai numerosi clienti. Purtroppo però, quest’ultima attività, quella di servizio alla clientela, non è prevista nelle grandi catene della vendita al dettaglio. Sono organizzate in modo che, teoricamente, tu possa trovare tutte le informazioni necessarie alla scelta del prodotto senza consultare nessuno, ma la realtà, si sa, è molto più variegata della teoria. Senza contare che la competenza del personale non è più un requisito così necessario e quindi si può anche sottopagare senza doverlo adeguatamente formare sui prodotti in vendita.
“Scusami”, dico io al commesso del bricolage, con la netta sensazione di essere l’ennesima persona che appesantisce la sua giornata frenetica, “stavo cercando dei portalampade per il bagno, ma questi con luci a led integrate, come funzionano?”. “Signora”, risponde lui, “funzionano che non si sostituisce più la lampadina, i led ed il portalampada sono una cosa sola.” “Quindi” dico io “quando i led si guastano, devo buttare un portalampada anche se mi piace ancora?” “Signora, i led hanno una durata superiore alle normali lampadine e quando si romperanno, coi soldi
risparmiati, comprerà un nuovo dispositivo. Con quello che costano!”
E mi guarda con aria infastidita, pensando che non è il momento di mettersi a criticare le tendenze del mercato. Lo ammetto, alla fine ho comprato il lampadario, affascinata dalla bella luce diffusa che emana, un effetto veramente fantastico. Però al tempo stesso mi sono chiesta, ma allora questa sostenibilità di cui tanto si parla, che cos’è? E’ questa, dei lampadari integrati? Perché a me non sembra proprio, questa mi sembra la logica del risparmia oggi e domani qualcuno smaltirà il resto. Io avevo inteso che doveva essere la sostenibilità a essere integrata, come un principio da applicare a tutta la filiera sia produttiva che di consumo, fino allo smaltimento. Così sono andata a documentarmi meglio ed effettivamente è proprio come avevo capito. Mi spiego.
“La sostenibilità è la caratteristica di un processo o di uno stato che può essere mantenuto a un certo livello indefinitivamente. In ambito ambientale, economico e sociale essa è il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e ASPIRAZIONI dell’uomo” [fonte wikipedia]
La sostenibilità in poche parole è ARMONIA ed EQUILIBRIO. Un’azione sostenibile è un’azione che non ha conseguenze deleterie sull’ambiente e gli esseri viventi che lo abitano presenti e futuri. Un’impresa sostenibile è un’impresa in cui i rapporti di lavoro coi dipendenti ne riconoscono la dignità, le ASPIRAZIONI, ed il potenziale umano. Rapporti di lavoro regolamentati con contratti idonei alla mansione e salari dignitosi, tanto per scendere sul pratico. Sono di questi tempi le notizie sulle condizioni di lavoro dei “rider” e non come esempio virtuoso di sostenibilità.
Un esempio di comunità che oggi definiremmo sostenibile, era quella dei nativi d’America, che abitavano il “nuovo continente” prima della colonizzazione europea. Comunità che gli europei del tempo si sono impegnati a distruggere con tutte le loro forze in nome del commercio e del profitto sconsiderato. Seppero realizzare un sostanziale equilibrio ecologico con l’ambiente in cui vivevano grazie alla mentalità di rispetto e conservazione delle risorse naturali che le tribù applicavano ad ogni aspetto della loro esistenza. Avevano realizzato un’armonia praticamente perfetta con la natura, pensiamo alla caccia, che non era intesa come divertimento o sport, come oggi, ma come necessità di vita e sostentamento. Con essa si procuravano cibo e abbigliamento per tutta la tribù. I bisonti venivano uccisi solo in base al numero necessario, non uno di più e non c’erano scarti di alcun tipo. Proprio perché riconoscevano il grande valore
di questa risorsa e la rispettavano. Utilizzavano tutto, dalla testa allo zoccolo, realizzavano vestiario, oggetti
per la capanna, giocattoli per i bambini, strumenti di lavoro e strumenti magici. Tutti rigorosamente riciclabili ed ecosostenibili. Noi invece con una spesa bio al supermercato compriamo più imballaggi che roba da mangiare!
“Una volta un vecchio nativo americano disse che tutto ciò di cui il suo popolo necessitava per una vita
felice era il bisonte: esso dava tutto al suo popolo eccetto l’acqua ed i pali per le tende. Era il dono che il
Grande Spirito aveva dato agli indiani” (dal sito “L’utilità del Bisonte”). Ma era anche la loro sapienza nel
riuscire a ricavare il più possibile da un animale cacciato. Quanta dignità e rispetto e riconoscenza verso la
risorsa che la natura ci mette a disposizione!
Oggi invece ci piace farci fotografare con le prede uccise al fianco ed offrirne il cuore come regalo d’amore!
La sostenibilità dei nativi non era solo economica o ambientale, ma anche sociale. Nella tribù non esistevano né emarginati, né disoccupati, né persone sfruttate o ridotte in schiavitù, tutti avevano un ruolo che li rendeva utili. Le persone anziane non erano un peso sociale o considerate improduttive come oggi, non erano un fardello da sostenere, sopportare e portarsi appresso. Erano i custodi delle tradizioni e responsabili dell’educazione dei più piccoli mentre gli uomini erano intenti alla caccia e le donne si occupavano delle necessità della tribù.
Quando arrivarono gli europei cominciarono ad uccidere i bisonti solo per vendere le loro pelli e arricchirsi, lasciando il resto del corpo a marcire. Prima del nostro arrivo le sterminate praterie dove vivevano i pellerossa contavano circa venticinque, trenta milioni di bisonti, dopo cento anni di economia dello spreco e dello sfruttamento (per essere gentili coi termini) ne erano rimasti solo mille!
Ieri abbiamo trucidato bisonti e indiani, gli abbiamo tolto la loro vita, il loro ambiente confinandoli nelle riserve, schiavizzandoli. Oggi bruciamo l’Amazzonia e la vendiamo su facebook. E’ stata un’inchiesta della BBC New Brasil a far luce sull’imbroglio in corso in Brasile dove si sta conducendo un’attività commerciale illecita e inimmaginabile: alcune terre indigene e della foresta pluviale amazzonica sono state disboscate illegalmente e poi messe in vendita su facebook. Qua la video-inchiesta: https://www.youtube.com/watch?v=QpTMqTo_ycc
A proposito dell’avidità folle dell’uomo che pur di possedere mette a repentaglio la propria vita e quella dei
suo simili, mi viene in mente la frase del Mahatma Gandhi che diceva: “La terra ha abbastanza risorse per
tutti, ma non ha abbastanza risorse per l’avidità di uno solo”. Ed è proprio l’avidità l’antitesi della sostenibilità, la causa della povertà, della schiavitù, dell’ingiustizia. L’origine dei rapporti di lavoro astutamente schiavisti, che hanno una bella forma, ma il solo scopo di sfruttare e di annientare la dignità dell’uomo, impedendogli un futuro e mettendo persino a repentaglio la sua vita. L’origine del caporalato, degli incendi indiscriminati, dello smaltimento illegale dei rifiuti, della contraffazione delle merci. L’origine della svalutazione dell’uomo e dei suoi diritti a favore del mero profitto.
L’avidità che rende culto al dio Denaro, celebrato dai suoi “sacerdoti”, i paperoni mondiali, che amano definirsi filantropi quando donano agli altri le briciole dell’immenso patrimonio che si sono accaparrati. Che finanziano l’OMS e ci dicono quando siamo malati, come curarci e ci consigliano cosa mangiare, in maniera ovviamente del tutto disinteressata.
Come è successo ai nativi d’america che sono stati privati delle praterie, dei bisonti, della loro sacra terra,
della libertà e tacciati per selvaggi così accade a noi umanità odierna, quando ci viene tolto ciò che la natura
aveva dato a tutti indistintamente per diritto di nascita: un pianeta ricco di risorse, sano, pulito e incredibilmente bello.
Mentre adesso che ci ritroviamo in un pianeta spossato, inquinato e malato è più sicuro (per chi può) fare il bagno in una pozza artificale (chiamata piscina) che non nel mare, dove è meglio mangiare carne di laboratorio perché, sapete, l’uomo che la sintetizza è più affidabile della natura, dove presto l’impollinazione sarà fatta a pagamento, magari da api-robot, perché quelle naturali saranno tutte morte o in numero esiguo. Un mondo artificiale, dove tutto ciò che prima ci veniva donato per natura adesso è a pagamento. Dove tutti i problemi che ne derivano vengono risolti, a pagamento, proprio dalla stirpe che li ha creati. Io chiamo questa dinamica “il meccanismo dell’acquario”.
Prendete un pesce, lo togliete dal proprio habitat naturale e lo mettete in un bell’acquario, ultima generazione, magari anche abbastanza grande perché siamo buoni e “amiamo” il nostro pesce. Poi però dobbiamo dargli tutto, il ricambio di ossigeno, un ambiente pulito, da mangiare e quel pesce non sarà mai più libero, ma quello che è peggio sarà in tutto e per tutto dipendente da noi, un nostro possedimento. Lo stesso sta accadendo all’umanità.
I problemi dell’uomo sono causati da un cattivo modo di rapportarsi con l’ambiente in cui vive e possono essere risolti soltanto recuperando questo rapporto, stringendo una vera alleanza con la terra, tornando al rispetto, alla cura, all’attenzione in ciò che facciamo ed in come lo facciamo, cancellando gli sprechi, eliminando i rifiuti non riciclabili, le emissioni inquinanti. Non si risolvono costruendo un altro ambiente, un mondo artificale.
Mi viene in mente una famosa frase indiana la cui origine non è certa, c’è chi dice sia un’antica profezia Cree e chi la attribuisce a Toro Seduto: “quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”.
Purtroppo però Toro Seduto o chi per lui si sbagliava, perché la storia è andata diversamente: dopo che
l’uomo sarà rimasto senza risorse, i miliardari filantropi proporranno un altro pianeta da violentare nella sua bella verginità e da depredare delle sue ricchezze, troveranno un nuovo cibo per sfamarci e chissà cos’altro.
Non ci diranno mai la verità, ovvero che la Natura ha già tutto quello di cui abbiamo bisogno, se solo smettessimo di depredarla e violarla per farne profitto. Che solo rispettandola daremo a noi stessi l’opportunità di essere veramente felici, perchè il primo basilare pressupposto alla Felicità dell’uomo e poter continuare a vivere nell’ambiente che ci circonda senza doverne costruire uno diverso e artefatto.
Ottima analisi e riflessione. Mi ha colpito il meccanismo dell’acquario, il costruire per renderlo dipendente da noi, invece di godere e apprezzare l’armonia e l’auto sostenibilità dell’attuale